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Quell’ultimo mistero di Dracula: potrebbe essere sepolto a Napoli

A Santa Maria la Nova scoperta una camera tombale isolata con delle ossa. Per avere certezza che i resti sono quelli di Vlad di Valacchia è necessario un test del Dna. Ma le date coincidono
di Simone Di Meo martedì 12 agosto 2025

3' di lettura

Nei sotterranei di Santa Maria la Nova, a Napoli, non ci sono pipistrelli. Ma questo non significa che Dracula non possa aver trovato qui riposo eterno. Una botola nella cappella Turbolo si apre, una scala in tufo conduce giù, e la luce si ferma sulla soglia. In basso, tra polvere e pietra, compaiono ossa umane, casse funebri divelte, brandelli di carta, tavole usate per essiccare i cadaveri. È il cuore di un mistero che intreccia storia, leggenda e archeologia: tra quei resti potrebbe esserci il corpo di Vlad III di Valacchia, il voivoda che ha ispirato il mito del vampiro reso immortale dalla penna di Bram Stoker.
Il ritrovamento è avvenuto durante un sopralluogo diretto da Giuseppe Reale, responsabile del complesso museale. Lo spazio sotterraneo è completamente indipendente dal resto dell’ipogeo, senza gallerie di collegamento: un vano autonomo, segno che chi vi fu sepolto non doveva confondersi con altri. La disposizione interna — con le antiche bare e gli scolatoi — racconta una destinazione di rilievo. Non è un ossario anonimo, ma un sepolcro separato e protetto. Già: ma per chi? L’indagine è partita dalla traduzione di un’epigrafe incisa nella cappella, alcune settimane fa. Il testo, decifrato da un’équipe romena guidata dal linguista Cristian Tufan, riporta la data del 20 novembre 1480 come possibile giorno della morte del principe valacco e allude alla sua tumulazione nello stesso luogo. “A colui che è stato ucciso due volte...”, recita la frase. Un inciso che ha riacceso la curiosità degli storici e spostato il fascino oscuro di Dracula nel cuore del capoluogo campano.

Per comprendere la portata dell’ipotesi occorre guardare al contesto. La famiglia Turbolo, proprietaria della cappella, era una casata di spicco nel Cinquecento. In quegli stessi anni la memoria di Vlad Tepes — eroe per i suoi seguaci, carnefice per i nemici — attraversava l’Europa. Secondo alcune ricostruzioni, Ferrante d’Aragona, re di Napoli e membro dell’Ordine del Drago, avrebbe potuto offrire rifugio a un alleato caduto in disgrazia, proteggendolo in segreto. Non è la prima volta che il nome di Dracula si intreccia con quello di Napoli. Già nel 2014 i lucani Raffaello e Giandomenico Glinni avevano studiato il sepolcro di Matteo Ferrillo, figura eminente dell’epoca, individuando simboli riconducibili alla cultura valacca: un drago scolpito sulla lastra, riferimenti a una certa Maria Balsa e l’ipotesi di un arrivo del voivoda sotto mentite spoglie.

Maria Balsa era una giovane donna di nobili origini albanesi arrivata all’ombra del Vesuvio sotto la protezione aragonese e sposata a Giacomo Alfonso Ferrillo. L’idea che fosse figlia segreta di Vlad III affascina, ma non ha conferme nelle fonti dell’epoca. Il casato Balsa è documentato e legato al mondo balcanico, ma senza contatti provati con la dinastia dei Draculesti. La scoperta della camera sepolcrale ha quindi riaperto scenari che si pensavano confinati nel folklore. La sua autonomia strutturale rispetto al resto della chiesa indica una sepoltura speciale, e l’epigrafe ne rafforza il potenziale significato allegorico. L’elemento nuovo è che, accanto alle ossa, sono stati trovati frammenti di carta, forse parte di antichi rivestimenti o documenti deteriorati che potrebbero fornire ulteriori dettagli su quell'ospite così speciale da meritare addirittura una epigrafe tutta per sé. In questo quadro, la frase “ucciso due volte” può essere letta come allusione a sconfitte politiche, prigionia o addirittura a un’elaborata messinscena di morte. O a chissà quale simbologia ultraterrena. Ora si attende il passaggio decisivo: l’analisi genetica delle ossa, da confrontare con il dna noto della dinastia del Signore delle tenebre, che ancora oggi sopravvive. Sarà l’unico modo per dare una risposta definitiva e stabilire se in quella stanza riposa davvero l’uomo che la letteratura ha trasformato in non-morto, o se si tratta solo di una straordinaria coincidenza. Il professor Roberto Nicolucci, critico d’arte e docente universitario, invita a non lasciarsi trascinare solo dal fascino della leggenda: «Nessuno avrebbe immaginato che un giorno il centro storico, carico di chiese e palazzi che si contendono lo spazio rendendo la visita alla città una continua caccia al tesoro, avrebbe offerto materia vampiresca». E aggiunge, con una nota ironica: «Ma, Dracula a parte, ciò che conta è che tutti tornino a visitare uno dei complessi più sfacciatamente belli della città. Magari con un crocefisso e un’adeguata scorta di aglio!».
Meglio non rischiare, lì giù è tutto buio.

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