Il valore dell’istruzione viene spesso distorto da due visioni opposte e ugualmente limitanti: da un lato, quale simbolo elitario di status, mezzo per ottenere titoli, prestigio e benessere materiale; dall’altro, l’idea che studiare sia inutile, qualcosa da abbandonare il prima possibile. Entrambi queste visioni riducono la conoscenza a un prodotto da consumare o da evitare, svuotandola del suo significato più profondo. La parola istruzione deriva dal latino “instructio, instructionis”, che a sua volta viene dal verbo “instruere”, formato da “in” (dentro, in) e “struere” (costruire, disporre, mettere insieme). Quindi significa letteralmente mettere dentro, preparare, equipaggiare, fornire di strumenti o conoscenze. Vuol dire nutrire la mente, formare il carattere, modellare il modo di pensare e di agire nel mondo. È scritto nella Bibbia: “Chi è intelligente cerca di conoscere, chi è saggio è sempre pronto a imparare” (Proverbi 18,15, TILC). La vera saggezza dimora nel cuore di chi semina domande, ascolta profondamente e accende stelle nel buio dell’ignoranza. Ben venga l’istruzione universitaria degna di questo nome, quella che non si limita ad essere un “esamificio” o a fornire risposte ma che insegna a porsi le domande giuste per pensare con lucidità e distinguere ciò che è razionale da ciò che è illusorio. La capacità dello studente di individuare informazioni rilevanti, analizzarle nel loro contesto e di cogliere le relazioni tra le parti e il tutto, sono competenze che un’istruzione ben progettata può trasmettere e affinare per prendere decisioni fondate, risolvere problemi, organizzarsi.
LA COMPLESSITÀ DELLA VITA
Se è vero che una preparazione universitaria non è sinonimo di successo, è anche vero che può offrire strumenti utili per entrare nel mondo del lavoro e per affrontare la complessità della vita reale. Tuttavia, occorre guardarsi da un culto sterile dell’istruzione. Un’istruzione scollegata da un orizzonte etico rischia di diventare un’arma a doppio taglio. Ci si può istruire per manipolare, per dominare, per rafforzare l’ego, non per crescere professionalmente. Se è vero che l’istruzione trasmette nozioni, la cultura trasforma quelle nozioni in visione, sensibilità e capacità di pensiero. Si può quindi essere istruiti ma poco colti (con tanti titoli ma poca apertura mentale), oppure poco istruiti ma molto colti (grazie a curiosità, letture, esperienze di vita). Infatti "cultura" deriva dal latino cultura, a sua volta ricollegabile al verbo colere, che significa "coltivare", "prendersi curadi", "abitare". Originariamente indicava la coltivazione della terra, ma già in epoca romana il termine venne esteso anche alla "coltivazione dell’animo" o della mente (cultura animi, come scriveva Cicerone), cioè lo sviluppo delle facoltà intellettuali e morali dell’individuo. Solo chi coltiva la mente può abitare il presente con consapevolezza ed essere istruito non solo per il lavoro, ma per la vita. La cultura e l’istruzione non devono essere allora un fine, ma un mezzo: per pensare, per scegliere, perché non dimentichiamolo “La verità rende liberi”.