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Gli orrori "dimenticati" dalle femministe pro-Pal

Oggi è il giorno dello sciopero per Gaza. Tutti fermi, trasporto locale, il personale delle ferrovie e della logistica, i portuali, stop alle lezioni nelle scuole e nelle università. Ma ci si scorda il 7 Ottobre...
di Giorgia Petani lunedì 22 settembre 2025

3' di lettura

Oggi è il giorno dello sciopero per Gaza. Tutti fermi, trasporto locale, il personale delle ferrovie e della logistica, i portuali, stop alle lezioni nelle scuole e nelle università. Questi gli annunci, poi vedremo la realtà. Sindacati, partiti, gruppi di attivisti sono al megafono. Non potevano mancare le femministe, tra loro anche la sigla prezzemolina “Non Una di Meno”. Fazzoletto fucsia al collo, sono metaforicamente in alto mare con la “Global Sumud Flotilla”, perché – sospirando sui loro profili social – «se ci fermiamo noi, si ferma il mondo, e allora fermiamoci tutti e blocchiamo tutto». Sì, fermatevi. Anche a pensare, qualche volta. Care ragazze, non basta la retorica, non si può parlare di libertà, sofferenza e diritti, senza ricordare che cosa è Gaza, qual è l'ideologia di Hamas, che cosa pensano e fanno alle donne. Fermare la strage, nobile obiettivo. E gli stupri sulle donne ebree?

L'assassinio delle soldatesse? I rapimenti, la tortura? Non è soltanto un elenco che riguarda la strage del 7 ottobre 2023, non si tratta esclusivamente della caccia all'ebreo - che avete dimenticato - c'è molto di più, c'è Hamas, c'è l'islamismo che non rispetta alcun diritto delle donne. “Non una di meno” e non una di più, sono tutte soggiogate. Gran bella cosa, i diritti. Accusano il governo Meloni di restare in silenzio, quando invece non hanno speso una parola per le donne uccise quel maledetto 7 ottobre. Quelle donne non meritavano di vivere? Il loro ricordo è scomodo?

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Sì, lo è. Come quello delle donne tenute in ostaggio da Hamas. Le paladine della giustizia a senso unico (pro-Pal) tra un sit-in e l'altro, pare non hanno trovato il tempo di leggere il report Dinah Project sulle violenze sessuali di gruppo commesse dai terroristi di Hamas durante il pogrom del 7 ottobre. Tra quelle pagine ci sono le testimonianze di chi quel giorno era al festival musicale Nova: persone andate lì per ballare e divertirsi, che invece su quella distesa di terra hanno trovato la morte, il dolore, la sofferenza. Tra quelle righe ci sono i macabri racconti di 15 ostaggi tornati in Israele dopo il rapimento, la testimonianza di una sopravvissuta a un tentato stupro, interviste con testimonianze, terapisti e soccorritori. La cronaca è piena di queste storie. Tutto dimenticato. Ma niente può essere perdonato. Del resto, non c'è da stupirsi dell'ipocrisia del femminismo che milita sinistra, l'incoerenza è il loro slogan, un marchio di fabbrica che garantisce visibilità nel circuito del giornalismo a senso unico. C'è chi soffre e chi s'offre, sono tantissime le femministe-influencer che, strumentalizzando questo tema, hanno trovato spazio sui giornali e nei salotti televisivi.

Non manca il business, dicono. Quelle di “Non Una di Meno” disprezzano crocifissi, presepi, riti, simboli e tradizioni cristiane. E poi, però, le vedi sfilare in manifestazione con il velo, come accaduto in occasione della Festa della Donna lo scorso 8 marzo, in diverse città italiane. Poco importa che a Gaza e in quasi tutto il mondo islamico non potrebbe mai presentarsi con pentole in mano a gridare, come accaduto invece un mese fa a Roma, davanti al Parlamento.
Sara Levi Sacerdoti, assessore alla cultura della Comunità ebraica di Torino, aveva denunciato l'assenza di una presa di posizione da parte delle associazioni femministe.

L'assessore Sacerdoti aveva inoltre ricordato che già da novembre 2023 molte donne ebree avevano scelto di non partecipare più alle manifestazioni contro la violenza di genere. Sono inquinato. Dalla faziosità, dalla partigianeria e, cura, dall'ignoranza. Siamo tutte donne, ma per alcune ci sono donne che non meritano attenzione. Ci sono morti per cui scendere in piazza e altri per cui, invece, non si fa nessuna pentolata, nessuna marcia notturna di solidarietà. Silenzio. Il rumore è quello di un discorso pubblico che non riesce a unire, ma divide gli ebrei - le donne ebree- dal resto dell'umanità. Non solo, andare in piazza per la pace, senza riconoscere e ricordare in ogni momento l'orrore di Hamas, squalifica del tutto chi predica bene e razzola male. Lavarsi la coscienza in piazza, non significa levarsi dalla responsabilità di essere donne che credono nelle donne.

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