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Vincenza, il Pd dichiara guerra alle Miss: la bellezza spaventa la galassia buonista

A Vicenza, il comune targato Pd, mette al bando i concorsi: l'ultima follia wokista del progressismo nostrano
di Annalisa Terranova sabato 27 settembre 2025

3' di lettura

Il Comune di Vicenza, guidato da una giunta di centrosinistra, non concederà più patrocini a concorsi di bellezza e costituirà un’attenta sorveglianza sui manifesti che promuovono la sessualizzazione del corpo femminile. «Quand’è che smetteremo di demonizzare la bellezza femminile?», si chiede il segretario cittadino di FdI Alessandro Benigno. Ma la consigliera Ghiotto, promotrice dell’odg passato in consiglio comunale e che sta scatenando accese discussioni, ribatte che si tratta di evitare che le istituzioni diano sostegno a iniziative che normalizzano la disuguaglianza. In pratica, pare di capire, la bellezza non sarebbe inclusiva e dunque premiarla sarebbe un’offesa a chi bello non si sente. Viva la body positivity, allora, e basta ammirare la bellezza di una donna.

Inutile dire che questa guerra alle miss viene da lontano: dal politicamente corretto d’importazione americana e dall’ideologia del femminismo radicale influenzata da Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. In un libro del 1993, più di trent’anni fa, Alberto Pasolini Zanelli metteva in guardia contro la guerra dei sessi che andava scatenandosi negli Usa sulla base di rivendicazioni culturali cui oggi diamo il nome di wokismo.

«Una insegnante - scriveva Pasolini Zanelli in Americani - si è sentita offesa dalla presenza, su una parete della sua aula, di una copia della Maja desnuda. Sosteneva di non riuscire a essere professionale in presenza di quel quadro. Più di una impiegata ha costretto colleghi maschi a eliminare raffigurazioni femminili che trovava offensive...». Quanto al libro canone del femminismo, Il secondo sesso, in quelle pagine Simone de Beauvoir vede la bellezza come un compito accessorio affidato dalla società borghese alle donne in quanto null’altro saprebbero fare se non assolvere al compito della rappresentanza. Sulla scia di questi presupposti si è arrivati a negare il femminile (teorica di questo assunto fu Michela Murgia) per giungere a scardinare l’idea di uomo e donna biologicamente determinati. Un obiettivo che parte già dalla prima infanzia, dai giocattoli: qualche anno fa la Hasbro annunciò di voler cambiare nome ai popolari personaggi di Toy Story Mr e Mrs Potato in modo che il bambino potesse liberamente travestire le “patate” senza distinzione di ruoli.

La Disney cambiò il look della sensuale Jessica Rabbit nel parco tematico della California: via le scollature per far posto a un casto impermeabile doppio petto con scollo a V e un cappello Fedora. Anche Lola Bunny è stata accusata di eccessiva sensualità. Così, con la scusa di rispettare il corpo delle donne, è apparsa anche lei con un nuovo look nel sequel di Space Jam. Via il top che lasciava scoperta la pancia e i pantaloncini cortissimi: al loro posto una divisa più morbida e comoda, identica a quella dei compagni di squadra. Per non dire della guerra alla bambola Barbie, troppo bella, troppo perfetta e troppo bionda. Barbie sarebbe troppo sexy, una proiezione giocattolo della donna-oggetto. C’è voluto un film molto apprezzato dal pubblico per far uscire Barbie dalla sua “bambolità”.

Chissà quanto ci vorrà invece per rivalutare i concorsi di bellezza, mai così bistrattati come in questi anni e trattati alla stregua di avanspettacolo per camionisti. Nel 2019 Boldrini tuonò contro le miss: la Rai faccia i concorsi per regolarizzare le precarie, non quelli di bellezza. A lei, agli isterismi del #metoo, si oppose il buon senso di Catherine Denueve: «La galanteria non è un’aggressione machista». Fu ripagata dal fotografo AleXsandro Palombo che presentò su Instagram il volto dell’attrice sfigurato dai lividi. La giusta “punizione” per avere difeso “la libertà di importunare”. Eppure, aveva ragione lei.

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