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L'eccezione che rende unici i conservatori italiani

Nel pamphlet di Invernizzi e Sanguinetti i punti principali di un manifesto di valori e principi per recuperare la nostra identità: dalla riscoperta del cattolicesimo fino al "ritorno al reale"
di Andrea Morigi sabato 27 settembre 2025

3' di lettura

Dicono che un Charlie Kirk da noi non riuscirebbe mai a trovare lo spazio che- anche dopo la sua tragica morte- si è conquistato negli Stati Uniti. Troppo americano e soprattutto troppo cristiano, a detta degli scettici, guardinghi verso la rilevanza pubblica della religione per timore di essere giudicati integralisti o addirittura talebani. Eppure, il Vademecum del Conservatore Italiano, scritto da Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti e appena edito da Giubilei Regnani (pp. 200, euro 14,00), rispecchia esattamente quella posizione che mette la fede religiosa al centro della vita individuale, familiare, sociale e politica. E la colloca, anche dal punto di vista filosofico e storico, nella Penisola.

Tanto per vantare un primato nazionale, l’idea ha origine almeno due secoli prima dei gazebo di Turning Point Usa. Anche se non è peregrino cercare qualche solido punto di contatto fra le insorgenze antinapoleoniche in Italia (e in Europa) e la Rivoluzione americana, a suo modo una reazione, poiché, sono le parole di Papa Benedetto XVI, «aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese». Affinità culturali evidenti, poi, emergono dagli autori condivisi: nel 1791 l’opera di Edmund Burke sarà tradotta e pubblicata a Venezia e contemporaneamente «avrà un impatto enorme in Inghilterra e nei neonati Stati Uniti, anche per la sua difesa dei diritti dei coloni e dei nativi americani», si ricorda nel volume.

Per brevi capitoli, che risalgono il fiume carsico della presenza cattolica in uno Stato che tende a relegarla a fatto privato, la prima parte dell’opera traccia un’inedita linea di continuità fra la spiritualità della Controriforma e la novità di Fratelli d’Italia, che trova fra i «punti di riferimento della sua visione politica due autori schiettamente conservatori, come l’inglese sir Roger Scruton (1944-2020) e il “filosofo contadino” francese Gustave Thibon (1903-2001)». Quest’ultimo è forse meno noto del suo concetto di “ritorno al reale” che «potrebbe essere la cifra e la chiave di volta di un’agenda di governo della nazione».

È una proposta politica chiaramente di destra. Non un prodotto spurio di fusionismi fra visioni opposte del mondo, non solo un’amalgama elettorale che comunque merita di essere costruita e tenuta insieme come “diga” contro la sovversione della “caosmopolitica” teorizzata in un’opera recentissima di Roberto Ciccarelli, Divenire rivoluzionari.e. Gilles Deleuze, Félix Guattari e noi, pubblicata da DeriveApprodi (pp. 304, euro 22), che idealmente si può considerare come il contraltare del Vademecum.

La modernità ha partorito anche una Quarta Rivoluzione, come l’avrebbe definita lo scomparso pensatore cattolico e contro-rivoluzionario brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, la quale oggi ha le sue avanguardie nel femminismo e nella teoria gender, nel postcolonialismo e nell’ecologia profonda, e si riunifica nell’intersezionalismo. L’obiettivo è sempre lo stesso: la disgregazione delle relazioni con Dio, con il prossimo e con se stessi.

A farvi fronte, non basta il fenomeno Donald Trump. E nemmeno il Maga, che condivide a tratti il carattere di una rivoluzione di segno contrario, non del «contrario della rivoluzione», auspicato da Joseph de Maistre. C’è una tradizione ormai consolidata nell’affrontare la sfida lanciata dal liberalismo e dal socialismo, dal comunismo e dalla rivoluzione “culturale” e antropologicaˇ del Sessantotto. Invernizzi e Sanguinetti lo sintetizzano così: «Le correnti e le scuole conservatrici autentiche hanno tutte condiviso lo stesso nucleo di principi e di valori». E da qui prende avvio la seconda parte dell’opera. Bisogna rifarsi alla buona filosofia e ripartire dalla legge naturale. Cioè al napoletano Giambattista Vico. E da un ordine, interiore prima di tutto, nella consapevolezza che «la razionalità e la volontà che rappresentano l’essenza dell’essere umano riflettono la razionalità e la libertà del creatore», scrivono gli autori. Perciò, il soggetto è «l’uomo con i suoi legami», che lo proteggono dall’invasività dello Stato moderno attraverso i corpi intermedi.

Nella postfazione al volume, Francesco Giubilei supera il nodo dell’imbarazzo sul termine “conservatore” nato da «un certo pregiudizio che, anche a destra, esiste in Italia su questa parola» e individua la formula «nel declinarlo in una prospettiva latina, mediterranea e perciò italiana». Il che significa restituire l’importanza che merita a un fattore aggregante, cioè «l’influenza del cattolicesimo nella definizione di un conservatorismo italiano. Se il cristianesimo e la salvaguardia delle radici cristiane sono argomenti che accomunano i conservatorismi occidentali, sottolineare il carattere cattolico di quello italiano è un aspetto fondamentale e più che condivisibile». Siamo sempre un’eccezione. Cioè eccezionali.

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roger vernon scruton

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