Il lenzuolo si prende tutto il portone: “Statale occupata”. A caratteri cubitali, mezzo viola e mezzo nero, sotto ci sono i manifesti stampati in bianco e nero. «Via Conservatorio occupata contro l’accademia del genocidio». Non è neanche la fotografia più allarmante. Poco distante, appeso a un muro con del nastro adesivo, campeggia un cartello: è scritto a mano, apparentemente sembra il listino di un locale, non fosse per delle rondini disegnate a parte in maniera speculare che richiamano le frange della kefiah. «Birre due: euro», si legge, «amari, benefit legale: tre euro». E in centro, ben visibile, dove ti cade l’occhio: «Sbirri morti: tre euro». Milano, 7 ottobre del 2025.
Non è una data a caso, è la data della commemorazione del pogrom di Hamas nel sud di Israele e infatti, poco distante, in piazza San Carlo, il presidente della comunità ebraica Walker Meghangi fa «appello alla democrazia a mettere avanti la pace di cui ci sono trattative importanti»: ma qui, alla facoltà di Scienze politiche, i collettivi di sinistra e i pro-Pal raccontano un’altra storia.
È la storia a cui ci siamo (brutalmente) abituati in queste settimane: quella del “genocidio”, del “bloccare tutto”, della Palestina presa a pretesto solo per far baccano. È martedì e il collettivo studentesco Rebelot è in assemblea: sui social non fa che rilanciare la causa di Gaza, in presenza pure. «Per la digos solo spari», ha scritto qualcuno con una bomboletta spray nera sotto una finestra.
L’università fa quel che può (cioè informa i suoi iscritti che «le lezioni previste sono sospese e che quelle di mercoledì e giovedì si svolgeranno da remoto»: piccola parentesi, se l’intento è di fermare la didattica è riuscito a metà), chi è rimasto coi libri in mano sul marciapiede non la prende benissimo. «Va sempre peggio», racconta Pietro Balzano che è il fondatore di Vogliamo studiare (gruppo il cui nome dice ogni cosa): «Dicono di volersi scagliare non più solo sull’entità sionista, come la chiamano loro, ma anche sulle aziende italiane che hanno rapporti con lo Stato ebraico, e allo stesso tempo elogiano organizzazioni terroristiche di ribelli come gli Huthi dello Yemen. Oramai c’è uno stato di illegalità totale che viene trasmessa e, in un certo senso, pure “insegnato” durante le occupazioni delle università. È intollerabile».
Lo è. Perché un conto è il dissenso (sacrosanto) e il contrasto giovanile (di per sè sano), un altro è incitare alla violenza e prendersela, guarda caso, di nuovo, con le forze dell’ordine. «Non ci sono parole», commenta, non a caso, Valter Mazzetti, che è il segretario generale della Fsp polizia di Stato, «ogni scusa è buona per vomitare odio su chi indossa la divisa e rappresenta l’Italia, sulle sue istituzioni. In favore di questi scempi c’è un atteggiamento di evidente giustificazionismo, quasi di indifferenza, anche da parte di chi non compie gesti assurdi o criminali in prima persona. Lo abbiamo visto ancora in questi giorni di follia, in cui cortei e manifestazioni hanno causato danni e devastazioni di città messe a ferro e fuoco». Gridano “from the river to the sea” (che, a scanso di equivoci, è un motto prepotente e aggressivo perché il suo significato è che lo Stato di Israele dovrebbe essere spazzato via dalla cartina geografica) e spaccano vetrine, lanciano sassi, deviano il traffico, in questo caso occupano aule. Sullo sfondo c’è il Medioriente, ma è solo un pretesto: un po’ perché per conoscerlo occorrerebbe aprire un libro di storia e se la biblioteca è occupata diventa difficile farlo, un po’ perché l’importante, oggi, è sollevare la cagnara. In via Conservatorio va avanti da lunedì sera. «Tutto questo accade in un ateneo pubblico», sbotta l’europarlamentare della Lega Silvia Sardone riferendosi proprio al caos della Statale, «e in una delle città più importanti d’Italia: la sinistra, almeno ‘stavolta, condannerà lo scempio? Molti dei “bravi ragazzi” che tengono ostaggio l’università non sono nemmeno iscritti: come si fa a tollerare una cosa del genere, quando ci sono studenti veri che ogni giorno si fanno anche molti chilometri per raggiungere il luogo in cui vorrebbero semplicemente studiare? Quelle locandine sono l’ennesimo sputo sulle divise da parte dei tanti amichetti della sinistra (e non solo quella estrema)».