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Francesca Albanese, il figlio di Liliana Segre: "È ossessionata da mia madre"

di Maria Pia Petraroli mercoledì 8 ottobre 2025

2' di lettura

"Ho l’impressione che la discussione si sia come militarizzata, con posizioni sempre più estreme in cui siamo anche noi in guerra gli uni contro gli altri": Luciano Belli Paci, figlio di Liliana Segre, lo ha detto in un'intervista al Corriere della Sera riferendosi al dibattito attuale su quanto sta accadendo a Gaza. "C’è una crescente intolleranza e l’episodio di Francesca Albanese è l’espressione di un clima più generale", ha proseguito Belli Paci, membro dell'associazione Sinistra per Israele, a proposito dell'ultima uscita di scena della relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati.

Mentre era ospite della trasmissione In Onda su La7, la Albanese ha lasciato lo studio all'improvviso subito dopo che un altro ospite del talk, Francesco Giubilei, ha fatto il nome della senatrice a vita. Secondo l’avvocato Belli Paci, la Albanese fa parte "di quella categoria ahimè ampia di persone che io definisco 'ossessionate da Liliana Segre'. C’era infatti già stato un precedente". Il riferimento è allo scatto della giurista davanti al murale della senatrice a vita e la parola “Indifferenza“. "L’hashtag era #GazaGenocide, come a dire che le dichiarazioni fatte da Liliana Segre su Gaza fossero in contraddizione con il suo impegno di sempre a non voltarsi dall’altra parte. Evidentemente Albanese non aveva letto le parole di mia madre in cui afferma di provare repulsione per il governo Netanyahu e la destra fascistoide e razzista al potere oggi in Israele. O quelle in cui dice che bisogna piangere per i bambini di ogni nazionalità ed esprime dolore per le vittime civili. Oppure quelle in cui denuncia i crimini di guerra e contro l’umanità commessi sia da Hamas sia dall’esercito israeliano. È bastato che esprimesse il suo pensiero sull’opportunità di non usare la parola genocidio per suscitare disprezzo".

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L'avvocato, poi, ha aggiunto che "in Italia sembra in atto, non solo da parte di Albanese, una sorta di 'polizia del pensiero' per cui non solo bisogna dire certe cose, ma dirle anche in un certo modo. Questo però distrugge il confronto democratico. In questa fase la guerra è stata importata nel dibattito, lo contamina. È come se ci fosse un arruolamento dall’una o dall’altra parte. E questo non porta benefici ai palestinesi, ma solo intolleranza. Non siamo ancora arrivati alla situazione degli anni Settanta, ma dobbiamo tenere presente che la violenza fisica parte sempre da una violenza che prima è stata verbale e morale".

E ancora sulla Albanese: "In questi mesi la giurista si è posta più come una militante che come un tecnico in posizione di terzietà, e se si entra nel dibattito così, poi bisogna accettare che tutti partecipino senza essere silenziati. O pubblicamente umiliati come il sindaco di Reggio Emilia che, mentre la stava premiando, ha osato dire che per arrivare alla pace serve anche liberare gli ostaggi israeliani".

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