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Roma, madre tortura suo figlio: "Sei grasso", capelli ossigenati, botte e insulti

di Redazione martedì 14 ottobre 2025

2' di lettura

Condannata a quattro anni per maltrattamenti. La vittima? Il figlio. A Roma Giovanni, oggi 33enne, ha subito più di 20 anni di vessazioni e non solo. Cristina, la mamma, lo svegliava nel cuore della notte costringendolo a bere intrugli e pozioni per liberarlo dal male, per proteggerlo dagli alieni. Lui, bambino, rispondeva alla mamma che nella stanza c'erano solo loro due, e giù botte. "Mia madre si rivolgeva a me chiamandomi 'cancro del mio utero', 'mongoloide', 'aborto mancato'", ha raccontato Giovanni ai giudici davanti al Tribunale collegiale: "Mi ha insultato e umiliato in più occasioni davanti ai nonni e agli zii materni. Se qualcuno di loro provava a prendere le mie parti si infuriava". Il tutto avveniva in un ambiente familiare insospettabile, tra le ville di una zona residenziale a sud della Capitale. 

Come ricostruito dal Messaggero, in ben due occasioni la donna ha picchiato il figlio - all'epoca 13enne - con un tale violenza da rendere necessarie le cure in ospedale. Per due volte lo ha portato personalmente al Grassi di Ostia, con il volto ridotto a una maschera di sangue e lividi. Tra le varie colpe che Cristina imputava al figlio presunti problemi alla colonna vertebrale emersi dopo il parto, ma in generale lo riteneva la causa di tutti i suoi mali. Gli sottraeva soldi e regali ricevuti ai compleanni o a Natale. Lo chiudeva in camera da letto o in bagno, anche per 12 ore di fila. Lo riteneva grasso, e per questo aveva dotato il frigorifero di un lucchetto, che solo lei poteva aprire.

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Giovanni ha tentato più volte di scappare di casa e a sfamarsi in casa di una vicina. Gli insegnati e i compagni di scuola lo ritraevano come un bimbo intelligente, ma a volte un po' aggressivo. Qualcuno di loro si era anche chiesto come mai Giovanni si presentasse spesso in classe con i capelli tinti di biondo. Anche questa colpa della mamma, che voleva che somigliasse a lei e non al papà. È stato proprio quest'ultimo, dopo una sfilza di procedimenti civili perché Giovanni andasse a vivere con lui, a riuscire a ottenere in Cassazione l'affidamento del ragazzo dopo una battaglie legale durata oltre 15 anni. 
 

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