Un gesto d’istinto, uno schiocco secco sulla nuca di un ragazzo. All’Istituto tecnico superiore “Belluzzi Fioravanti” di Bologna un professore ha colpito uno studente durante la lezione, un “coppino” che ora rischia di costargli il posto. È accaduto mercoledì, in un’aula agitata, al termine di un’ora difficile. Un gesto sbagliato, da condannare, che però apre un interrogativo: che cosa accade oggi nelle classi italiane, dove troppo spesso si alternano la rabbia degli studenti e l’esasperazione dei docenti?
Secondo le prime ricostruzioni, poco prima delle 13 l’insegnante, messo in difficoltà dal comportamento irrequieto della classe, avrebbe prima richiamato i ragazsure disciplinari, nel pieno rispetto del regolamento d’istituto e della tutela degli studenti». Il preside ha precisato che «la scuola pone la massima attenzione al benessere dei ragazzi e al valore della professionalità dei docenti», ribadendo tuttavia che «nessuna forma di violenza può trovare giustificazione, a maggior ragione in un contesto educativo».
Se è giusto condannare un atto di violenza da parte di un insegnante- e lo è-, è altrettanto necessario osservare le dinamiche quotidiane di molte aule italiane: tensioni crescenti, comportamenti difficili da gestire e classi dove l’autorità si misura ogni giorno con la sfida della resistenza. Basti solo pensare che in Lombardia, in questa porzione iniziale di anno scolastico, si sono già verificati sei casi di prof aggrediti. Numeri che raccontano una tensione quotidiana, fatta di classi sempre più difficili da gestire e di un clima di sfiducia reciproca. Il “coppino” non è un pugno in faccia, questo va detto: non è una spedizione violenta volontaria, ma resta comunque un atto di violenza. È un limite che è stato superato. Eppure è cruciale inserire questo gesto in un contesto più vasto. Perché in Italia aumentano le aggressioni verso i docenti: genitori che entrano nelle scuole, studenti che rifiutano l’autorità, classi che diventano campi di battaglia. Per esempio, nel novembre 2024 un docente di Fidenza è stato colpito con un pugno in pieno volto da un padre di uno studente. Ma è solo uno dei tanti casi.
Dunque, forse serve uno sguardo meno schematico, più umano. La violenza in classe non arriva mai da una sola direzione. E se chiediamo empatia per gli studenti, dovremmo concederne almeno un poco anche ai prof. Da questo episodio dovrebbero nascere non solo sanzioni, ma riflessioni. Servono strumenti concreti per gestire i conflitti, formazione adeguata, ascolto. Perché la scuola non diventi un luogo di paura reciproca, ma torni a essere un posto dove si può sbagliare, correggere, imparare. Senza che un gesto d’impulso cancelli anni di fiducia, né che la rabbia di un ragazzo trasformi un’aula in un ring. E accanto alla condanna necessaria, resti almeno un frammento di comprensione per chi, dentro quelle aule, ogni giorno prova a insegnare e a resistere.




