Un’intera giornata chiusa dentro una casa. Senza vie d’uscita. Con la paura addosso e i segni delle botte che aumentano con il passare delle ore. È l’interminabile incubo vissuto una donna a Remondò, frazione di Gambolò, nel Pavese, secondo la prima ricostruzione degli inquirenti. Un isolamento forzato, scandito solo da una violenza cieca, assurda. Poi un gesto piccolo, ma decisivo: un messaggio dal telefonino. La donna riesce a inviare a un amico la propria posizione tramite il GPS del cellulare. Un segnale muto, ma chiarissimo. L’uomo non perde tempo e chiama il 112. Chiede aiuto, indica il luogo, racconta il pericolo. Da quel momento il tempo accelera. Le pattuglie raggiungono rapidamente l’abitazione indicata. Alla porta trovano un uomo di 32 anni, di origine marocchina, che tenta di impedire l’ingresso agli agenti. Un tentativo ovviamente inutile ma che dà l’idea dell’orrore che volesse nascondere dietro quelle quattro mura. I poliziotti entrano.
Dentro la casa la scena è agghiacciante e lascia poco spazio alle interpretazioni. La donna è sotto choc. Ha lividi e ferite evidenti su braccia e volto. È viva, ma provata. Finalmente libera. La vittima viene trasportata all’ospedale di Vigevano. I medici la giudicano guaribile in venti giorni. Le ferite raccontano una storia che ora spetta agli investigatori ricostruire nei dettagli. Il suo aguzzino, invece, è stato portato in commissariato per gli accertamenti di rito. In sede di querela, la vittima ha riferito di essere stata sottoposta, per tutta la giornata del 9 dicembre e sino all'arrivo della polizia, a ripetute percosse, minacce e privazione della libertà personale, nonché di aver subito precedenti episodi di violenza da parte dell'uomo, che l'avrebbe costretta a restare presso la sua dimora per oltre 24 ore contro il suo consenso, impedendole ogni via di fuga e privandola dell'uso del cellulare. I vicini di casa hanno confermato agli agenti di aver udito, per diverse ore, urla di aiuto e rumori compatibili con una violenta aggressione. Così, l'uomo, con numerosi precedenti sia per reati contro il patrimonio sia contro la persona, è stato arrestato con l'accusa di sequestro di persona e denunciato per maltrattamenti.
Ma restano alcune domande senza risposta. Se i vicini hanno sentito, per ore, urla disperate da parte di una donna, perché non hanno chiamato subito le forze dell’ordine? E soprattutto, se questa ‘risorsa’ aveva un curriculum criminale di questo spessore, cosa ci faceva a piede libero? Adesso l’immigrato si trova all'interno della casa circondariale di Torre del Gallo a Pavia, dietro le sbarre. Dove evidentemente avrebbe già dovuto soggiornare. Solo poche settimane fa a Romano di Lombardia, nella bassa bergamasca, un nigeriano di 36 anni aveva picchiato brutalmente la compagna, sua connazionale, colpendola ripetutamente fino a farla cadere a terra priva di sensi in pieno centro paese. Sul posto erano intervenuti i carabinieri che l’avevano trasportata in codice rosso all’Ospedale di Brescia. Poi, una volta risvegliatasi in ospedale, la donna aveva raccontato che il suo convivente da tempo la sottoponeva a violenze fisiche, psicologiche e sessuali, mai denunciate prima. Ma se riavvolgessimo il nastro di poche settimane, troveremmo altri episodi simili, in Lombardia e non solo. Intanto, l’ultima storia d’orrore che arriva dalla provincia di Pavia con ventiquattro, interminabili ore di prigionia e violenza racconta di una situazione grave che certo non si risolve con la solita retorica buonista. Intanto, resta un fatto: in quella casa, a fare la differenza, è stato un segnale inviato nel momento giusto. Un punto sulla mappa che ha spezzato una prigionia. Altrimenti, cosa sarebbe potuto succedere?