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De' Manzoni: Grande intesa Pd-Pdl male necessario, ma non con Monti e Amato

I saggi, a destra e sinistra, sanno come dovrà finire la trattativa sul prossimo governo. Ma che non ci rifilino i soliti finti tecnici
di Giulio Bucchi giovedì 28 febbraio 2013

2' di lettura

  di Massimo De' Manzoni Girano strane voci in queste giornate post elettorali, nelle quali una balbettante imitazione di Crozza completa il suo harahiri facendosi sfanculare platealmente da Beppe Grillo e  una discreta quota di politici tedeschi la fa fuori dal vaso facendosi sfanculare persino da Napolitano. Le persone più avvedute all’interno del Pd e del Pdl, quelle senza grilli per la testa, sanno perfettamente quale dovrà essere l’esito di questo difficilissimo passaggio: una grande coalizione. E sanno anche che tale risultato dovrà essere conseguito in fretta, prima che alle irritanti parole dei sedicenti alleati teutonici facciano seguito i dolorosi morsi della speculazione internazionale. Ai piani alti, democratici e pidiellini stanno dunque già ragionando sull’ipotesi. E questo è un bene. O perlomeno un male necessario. Ciò che invece allarma, sono le stranezze di cui sopra: nomi improponibili che filtrano dai due quartier generali. Dicono che in entrambi gli schieramenti si parta dal presupposto che non si possa prescindere da Monti, anche se dei suoi numerini non c’è alcuna necessità pratica. Sostengono che farebbe da cuscinetto tra i due partiti nemici, consentendo loro di governare fianco a fianco senza sprigionare scintille da attrito che potrebbero appiccare incendi. Fanno anche sapere che per guidare questa coalizione si stanno prendendo in considerazione personaggi fintamente super partes, definiti anche «istituzionali» se non addirittura, con evidente esagerazione, «riserve della Repubblica». E poi ti buttano lì con nonchalance: «Giuliano Amato, per esempio». Sì, proprio lui: l’archeologico Dottor Sottile che nulla sapeva di quanto avveniva sotto il suo naso ai tempi di Tangentopoli e che si è poi specializzato nell’arte di mettere nottetempo le mani nei conti correnti altrui. Oppure: «Franco Marini». Ma chi, quello che fuma la pipa, quello che quarant’anni fa faceva il sindacalista? «Certo, è ancora lucido, sai?». Ecco: per piacere non scherziamo. In mezzo a un bel po’ di confusione, ci sono due cose che queste elezioni hanno detto con chiarezza solare.  La prima: gli italiani di Monti e di ciò che rappresenta, tasse e politica economica filotedesca in primis, non vogliono sentir parlare neppure per sbaglio. La  seconda: vogliono, anzi pretendono, un profondo rinnovamento nelle facce e nel modo di fare politica. Perciò, almeno per una volta,  fate le persone serie. Il momento è grave e l’esito del voto vi ha messi all’angolo, lo sappiamo. Ma non se ne esce con i soliti schemi logori. L’unica soluzione possibile è capovolgerli, trasformando una situazione di apparente stallo in una opportunità di cambiamento e di rilancio. Ci vogliono fantasia e coraggio. Fortuna, anche. E chissà quante altre cose. Ma di sicuro non servono vecchi arnesi usati. Quindi fateci la cortesia di riporre gli Amato e i Marini nelle teche e di lasciare il professore con il Loden nell’irrilevanza nella quale si è felicemente confinato in virtù della sua insipienza e della sua spocchia. In alternativa, potete consegnare le chiavi di Palazzo Chigi direttamente a Grillo: tanto al prossimo giro prende il 60 per cento.    

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