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Milano, queste brigate rozze vogliono prendersi la città: sindaco e curia tacciono

di Daniele Capezzone sabato 4 gennaio 2025

3' di lettura

E così abbiamo visto all’opera quelle che potremmo chiamare le brigate rozze, anzi le rozze brigate di Allah: un’orda di maghrebini ululanti, una torma di immigrati dediti agli insulti più violenti contro il paese che li ospita (“vaffanculo, Italia”) e le nostre forze dell’ordine (“polizia di merda”). Milano è cosa loro: questo ci hanno fatto capire a Capodanno, trasformando in un bivacco non solo il monumento a Vittorio Emanuele II ma soprattutto - ancora più  significativamente, dal loro punto di vista - il sagrato del Duomo.

Ecco il senso dei video irridenti e volgarissimi girati lì, e pensati proprio affinché diventassero virali in rete. E attenzione: la nostra indignazione è direttamente proporzionale alla loro soddisfazione, al senso di profanazione che è un elemento essenziale della loro propaganda online. Altro che zone rosse, insomma: l’idea che desiderano trasmettere è quella di un controllo anche fisico del territorio e di una sequenza di sfregi verso il luogo più simbolico di Milano.

Il guaio- però- è il gran silenzio che continua a circondare questa impresa. Silenzio mediatico, rotto da Libero e da pochissime altre voci. Ma anche silenzio delle autorità politiche e religiose della città. Sia detto con rispetto: dov’è il sindaco Beppe Sala? Che fine ha fatto? Perché non ha nulla da dire? Lo abbiamo sentito parlare di tutto negli ultimi mesi: del colore dei suoi calzini (discutibili), delle misure sul traffico (sbagliate), delle norme anti-fumo (illiberali), del futuro della sinistra e suo personale. Ma, sui fatti di Capodanno, dal sindaco di Milano non è venuta una sola parola, una sillaba, un sospiro.

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IL MONSIGNORE SILENTE
Così come gran silenzio si registra dalle parti della Curia, altre volte così reattiva e pronta a esprimersi quando il tema era l’immigrazione, o quando si è trattato, in occasione del funerale di Silvio Berlusconi, di lasciare a verbale un’omelia funebre fredda- a tratti gelida e giudicante- come quella letta dal vescovo Mario Delpini.

Lo stesso monsignor Delpini che - a meno di nostri errori e omissioni - non ebbe nulla da dire quando sulla facciata del Duomo fu issata e fissata una bandiera palestinese. E sempre lo stesso monsignor Delpini che invece fu loquacissimo e ultracomprensivo (ma verso i maranza) dopo i recenti fatti del Corvetto.

Ricorderete una sua amplissima intervista a Repubblica, nella quale - risposta dopo risposta - andavano in dissolvenza le immagini che avevamo visto in quei giorni, l’assedio contro la polizia, una ribellione esplicita e ormai priva di freni inibitori, un pezzo di città letteralmente messo a ferro e fuoco. Ma per Delpini le cose non stavano così: «La risonanza mediatica finisce per catalizzare il gusto per la catastrofe, piuttosto che l’interpretazione sincera della realtà. Ci vorrebbe una lettura più penetrante e costruttiva». E ancora, sempre nella linea dell’attenuazione, altre parole al miele per i maranza e i protagonisti del caos (immigrati di prima o di seconda generazione): «È un malessere che non classificherei in modo superficiale, accostandolo a quello delle banlieue francesi. Invece che procedere per stereotipi, bisognerebbe andarci a parlare con questi ragazzi e con i loro famigliari, ascoltarli, come fanno la Caritas e i servizi sociali pubblici». Gran finale: «Bisogna che le istituzioni tutte coltivino un’idea un pochino più lungimirante di città e delle popolazioni che vi si muovono. (...) La migrazione nella comunicazione pubblica viene ridotta al tema degli sbarchi e dei rifugiati».

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CHI FA FINTA DI NIENTE
Del resto, pure il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, Avvenire, ieri ha relegato i fatti di Piazza Duomo in un pezzo di pura cronaca sistemato nel taglio basso di una pagina dedicata alla “Milano senza fumo”. Messaggio neanche troppo implicito: non è successo niente. Al massimo, una trascurabile vicenda di cronaca minore.

A noi di Libero tutto questo sembra pericoloso. È come se si stesse dando l’idea di una resa metaforica, di un ripiegamento culturale, prodromo e premessa di una resa anche fisica ai violenti, ai prepotenti, agli integralisti. I quali - per così dire - hanno condotto un ennesimo “test”: mostrando a se stessi e al mondo che possono tranquillamente sfregiare Piazza Duomo, mentre i sonnambuli occidentali continuano a camminare dormendo.

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