Continuano le indagini alla ricerca degli autori dell’aggressione antisemita ai danni di un padre di famiglia francese di confessione ebraica e del figlio di 6 anni, avvenuta domenica all’Autogrill Villoresi Ovest, a trenta chilometri da Milano. Sarebbero state una quindicina, come si evince dai filmati delle telecamere di videosorveglianza attualmente al vaglio degli inquirenti, le persone presenti al momento dell’attacco tra insulti e aggressione fisica che la vittima, Elie Sultan, 52 anni, ha dichiarato di aver subìto. La Digos di Milano, per ora, ne ha identificate tre, che verranno presto iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di «percosse aggravate dall’odio razziale». Secondo i primi accertamenti, si tratterebbe di italiani, ma come emerso dal video registrato dal cittadino francese al momento dell’aggressione e dichiarato da lui stesso al Corriere della Sera («Alcuni di loro erano di sicuro arabi, perché ho sentito pronunciare parole arabe rivolte a me»), alcuni avrebbero origini arabe. «Sono contento che la giustizia italiana abbia aperto un’inchiesta e spero che trovino i colpevoli e che si arrivi a un processo come è giusto che sia», ha dichiarato al Tg1 Elie Sultan, proprietario di una libreria nel Diciannovesimo arrondissement di Parigi.
LA VERSIONE
Ieri sera, l’avvocato Federico Battistini, che assiste alcune delle persone accusate di avere aggredito, verbalmente e fisicamente, ha tuttavia contestato la versione dei fatti esposta da Elie Sultan. «L’uomo che oggi accusa falsamente i miei patrocinati di essere stato aggredito per motivi di odio etnico, nazionale, razziale o religioso ha rivolto alla compagnia di origine palestinese gesti offensivi, insulti razzisti, sessisti e minacce. La versione dei fatti esposta dal signore francese è parziale e tendenziosa», ha dichiarato il legale, aggiungendo di avere presentato querela nei suoi confronti alla Procura di Milano per i suoi assistiti, a cui sono stati riscontrate al pronto soccorso «lesioni, nello specifico trauma cranico e contusioni da percosse».
Il genero di Elie Sultan ha rilasciato ieri un’intervista al Corriere, chiedendo che il suo nome e cognome non fossero rivelati per «ragioni di sicurezza personale». «Mio suocero è stato aggredito solo perché portava la kippah, il nostro copricapo tradizionale, e per nessun altro motivo. Ma la kippah, ci tengo a dirlo chiaramente, non è un simbolo politico. Non è che qualcuno, dopo averlo riconosciuto come membro della comunità ebraica, gli abbia chiesto le sue idee politiche o religiose. L’aggressione, prima verbale e poi fisica, come tutti gli atti di violenza è cieca e gratuita. Quello che per noi è un simbolo religioso ha scatenato l’inferno, con persone che si sono comportate in modo sconvolgente. Come mi sento? Determinato a cercare giustizia insieme a mio suocero e a vivere la vita di sempre», ha dichiarato al Corriere, prima di aggiungere: «A differenza di me, che a Milano sono stato obiettivo di aggressioni verbali indossando la kippah, a lui, che vive a Parigi, non è mai successo niente e non si sarebbe mai aspettato che un episodio del genere gli capitasse in Italia. Eppure in Francia i gruppi antisemiti sono molto presenti e agguerriti. Mio suocero è un uomo forte ma dopo l’aggressione era sotto choc. Per suo figlio, che ha visto suo padre a terra e percosso, è stata un’esperienza terribile».
IL FASCICOLO
La Procura di Milano è stata reattiva ad aprire un fascicolo sul caso. «Devo dire la verità, non mi aspettavo una reazione così in breve tempo da parte della polizia e poi addirittura della Procura. Lo ritengo un successo per tutta la comunità ebraica di Milano, a cui appartengo», ha detto il genero della vittima, secondo cui «tutti devono essere liberi di esprimere la propria identità e di muoversi senza nessun condizionamento».
Un principio che deve valere per tutti, «anche al di fuori del credo religioso», ha concluso.