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Leoncavallo senza vergogna: rifiuta il "regalo" del Comune

Secondo il centro sociale l'edificio di via San Dionigi non è alla sua altezza e da bonificare. Eppure la sinistra aveva costruito un bando su misura
di Andrea Fatibene giovedì 11 settembre 2025

4' di lettura

Chi troppo vuole nulla stringe, si usava dire qualche tempo fa. Una lezione che i leoncavallini a quanto pare non hanno interiorizzato affatto, dato che ora, dopo aver messo a ferro e fuoco la città nella manifestazione di sabato, escono con un post sui social, addirittura rilanciando le loro rivendicazioni: San Dionigi non sarebbe «all’altezza della storia del Leoncavallo» e sarebbe «lontana dai desiderata di quella parte di città che ha manifestato sabato». Il centro sociale si lamenta di come la soluzione proposta dalla giunta (attraverso un bando «non cucito apposta per lui», come ci ha tenuto a specificare Anna Scavuzzo, vicesindaco temporaneamente incaricata delle deleghe all’urbanistica) non si confaccia a quelli che, di fatto, non possono essere chiamati altrimenti che capricci. «L’area di via Watteau», si legge sulla pagina del Leonka, «è un’area ex industriale che negli ultimi 30 anni è stata infrastrutturata per un uso diverso: sociale e pubblico, ed è perfettamente funzionante, in sicurezza, attrezzata. Oggi e per i prossimi anni sarà una sorta di demanio militare ufficiosamente istituito». Dall’altra, secondo la loro retorica, ci sarebbe il capannone di via San Dionigi: «Area totalmente dismessa e inagibile fino a bonifica e messa a norma.

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Un posto malsano, forse avvelenato, sul quale occorrono ulteriori indagini per attestare che non si metta a rischio la salute di chi ci entra». Il problema principale, come si può facilmente intuire sono i soldi richiesti per canone d’affitto e soprattutto per le opere di bonifica e ristrutturazione: «Tutto questo costituisce una barriera economica estremamente rilevante per chiunque e che motiva i precedenti risultati di bando andati deserti. Siamo convinti che né Catella né De Corato manifesteranno il loro interesse». Questo come se Chiaravalle e la relativa abbazia limitrofa a pochi passi dal lotto di via San Dionigi non stessero intraprendendo l’iter burocratico per diventare patrimonio Unesco.

Un discorso piuttosto presuntuoso se considerato che arriva nonostante le affettuose coccole della sinistra meneghina, pronta a difenderli pubblicamente dopo il sacrosanto sgombero e ad affannarsi per trovare loro una nuova casa chiudendo più di un occhio sugli 800mila euro di pendenze Tari (e nemmeno si contano i 3 milioni dovuti allo Stato...). Ancora più surreali se si considera che vengono poste con tono di minaccia, come per dire che o si fa esattamente come vogliono loro o continuano a rivoltare Milano come un calzino. «La nostra volontà è proseguire l’autunno con alcuni interventi culturali» continuano «tra cui La Terra Trema, Festa della Semina e del Raccolto, attività riconosciute in Italia e Europa. Dove e come è tutto da costruire». Ovviamente, così come la stessa manifestazione di sabato, l’obiettivo delle iniziative è sempre il contante: «I collettivi interni si stanno organizzando per costruire un calendario di iniziative di solidarietà per la Cassa di Resistenza» continuano.

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Il piano in casa Leonka, dopo aver sostanzialmente sputato sul gentil présent di San Dionigi, pare quello di riconquistare via Watteau. L’appello torna quindi al patrimonio artistico custodito nell’ex cartiera di proprietà della famiglia Cabassi: «La Soprintendenza Archivistica ha avviato le pratiche per il riconoscimento ufficiale dell’ingente archivio storico del Leoncavallo dedicato a Fausto e Iaio. Un’eredità preziosa, di interesse pubblico e culturale, che si aggiunge a quella dei graffiti di Dauntaun sui quali si è aperta una riflessione complessa sulla storia dell’identità artistica di Milano e anche della stessa area di via Watteau» concludono.

Idem, in tutto ciò, osservano, silenziosi quando non conniventi, come se riconoscessero una qualche autorità a chi vive nell’illegalità e nell’abusivismo da più di 50 anni, tra occupazioni di immobili privati, business paralleli (ma di fatto non diversi da quelli di una discoteca qualsiasi) e ben poche iniziative per il sociale. Peccato che non si accorgano come oggi i bersagli degli attacchi frontali del Leoncavallo siano loro stessi, proprio a partire dal sindaco Beppe Sala, che dopo aver provato a difendere il Leonka, «simbolo di Milano che non può morire», è stato aspramente contestato nella manifestazione di sabato, così come il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che, tirato in causa, ha parlato sulla questione San Dionigi dicendo che per lui «se il Comune di Milano ora vuole concedere al Leoncavallo uno spazio pubblico è liberissimo di farlo».

Quella tra la giunta e lo storico centro sociale si potrebbe definire un affare di cuore non corrisposto: mentre i dem cercano in ogni modo di piacere ai leoncavallini, difendendoli a spada tratta su tutti i fronti, questi ne ripudiano l’ipocrisia radical chic. C’è da vedere se poi saranno così coerenti da rifiutare anche il pacchetto San Dionigi, una volta che il sogno malinconico di tornare in possesso di via Watteau si scontrerà con la realtà. Attenti però che, a furia di fare i difficili, si rischia di restare senza tetto e senza spasimanti.

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