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Fini gran pavone della Camerala sua vanità ci costa 200mila euro

Tanto ci ha fatto spendere nel 2011 Gianfranco per farsi ritrarre dal suo fotografo personale Enrico Para
di Matteo Legnani domenica 29 aprile 2012

3' di lettura

L’unica volta che non l’ha chiamato è stato lo scorso 18 aprile, quando Gianfranco Fini ha preferito dare meno pubblicità possibile a un suo incontro diplomatico: quello con l’ambasciatore delle Maldive, Iruthisham Adam. Si capisce perché: l’ambasciatore è utilissimo a chi - come Fini - ama le vacanze alle Maldive, ma quell’incontro non fa aumentare la popolarità. Per quello il presidente della Camera  non ha chiamato Enrico Para, il fotografo personale che sta incollato a Fini come un francobollo praticamente da quando l’ex leader missino ha ottenuto i primi incarichi istituzionali. Tutte le altre volte Para era lì con la sua macchina fotografica. Che gli sarà restata incollata alla mano nel 2011, visto che Fini si è fatto fotografare come mai gli era accaduto nella vita. Si deve piacere un fracco il presidente della Camera, visto che per le sue foto ha fatto sborsare (ai contribuenti, mica paga lui) la bellezza di 201.014,44 euro l’anno scorso.  A tanto ammontano le fatture pagate nel primo e nel secondo semestre alla Impero Fotografico srl di Para (che ne è il proprietario insieme alla moglie, anche lei fotografa). Nel primo semestre una fattura da 73.075,20 euro, e una da 34.449,60 euro. Nel secondo semestre la terza fattura, da 93.489,64 euro. Per Fini dunque il 2011 è stato l’anno del Gran Pavone, e per il fido Para l’anno della cuccagna. L’anno prima, secondo i dati rivelati dai soliti radicali e messi a disposizione dei contribuenti su Linked Open data Italia alla Impero fotografico srl erano stati pagati in tutto 76.692 euro. In un anno dunque la cifra è quasi triplicata. Fini ha viaggiato come una trottola e anche all’estero ha sempre voluto il suo fotografo di fiducia al seguito, pagandogli oltre alle fatture anche le spese di viaggio e di pernottamento. E anche il 2012 non sarà da meno: Fini si è già fatto ritrarre in ogni posa nella visita negli Usa: stretta di mano a Barack Obama, visite accompagnate dalla vecchia amica Nancy Pelosi. Subito prima un viaggetto nella penisola balcanica e subito uno a Londra con raffica di strette di mano e di foto. Nelle feste comandate al presidente della Camera piace invece mettersi la divisa (pure la mimetica) e andare a farsi fotografare insieme ai militari in qualche missione italiana in giro per il mondo: l’ha fatto ad Herat, in Libano e in Kossovo (qui però si è tenuto il caldo suo giaccone, perché si battevano i denti dal freddo). Il fotografo personale lo ha accompagnato in tutti gli altri viaggi all’estero. E naturalmente corre in ufficio non appena c’è qualche visita di rango anche alla Camera dei deputati. La Camera ha anche altri fotografi ufficiali: c’è Umberto Battaglia, che fu fotografo personale di Pier Ferdinando Casini e che Fini ha mantenuto a corte pagando profumatamente sia lui che la sua Image communication net srl (circa 142 mila euro per gli scatti istituzionali nel 2011). C’è infine la Luxardo foto di A. Sulpizi che raccoglie le briciole (38 mila euro l’anno scorso).  Para e la sua società non lavorano solo per Fini. Come molti fotografi vivono anche di servizi banali (matrimoni, cresime, battesimi etc…), e poi dove c’è un ex missino sono sicuri di trovare lavoro. Lui era il fotografo ufficiale del Secolo di Italia e del Msi, e ancora oggi risulterebbe fotografo ufficiale di Alleanza Nazionale. Con Fini ha lavorato (anche come vide operatore) a palazzo Chigi quando questi era vicepremier e agli Esteri appena il nume di Para è sbarcato lì. In contemporanea, però, Para e la sua società diventavano anche fotografi ufficiali di tutte o quasi le istituzioni in cui arrivava al potere un ex missino. Silvano Moffa lo portò con sé alla provincia di Roma, Francesco Storace alla Regione Lazio, Mirko Tremaglia al ministero degli italiani nel mondo, Altero Matteoli a quello dell’Ambiente, Gianni Alemanno alle politiche agricole, e così via. di Franco Bechis

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