Vasco Rossi va davvero al massimo. E non lo diciamo "solo" perché, a settant' anni suonati, ha appena tenuto due concertoni a Roma con 70mila cristiani stipati dentro al Circo Massimo, che lo osannavano entusiasti. Va al massimo perché se ne frega ("...di tutto, sìììì") e dice quello che gli pare infischiandosene del politicamente corretto. E il bello è che a lui, ma solo a lui, non succede nulla. Abbiamo appositamente aspettato un paio di giorni per scrivere questo articolo proprio per vedere se qualcuno si sarebbe indignato. Risultato: zero. A questo punto vi starete chiedendo a cosa diavolo ci stiamo riferendo. Giusto. Durante il suo doppio concerto romano, Vasco il rivoluzionario ha spesso intervallato le canzoni urlando (citiamo testualmente) "viva la figa".
Certo, lui lo ha sempre fatto ma oggi è il 2022, l'era dei no gender e delle femministe indiavolate. Non siamo mica negli anni 90 quando, almeno per il mondo del rock, esisteva solo un'unica opzione sessuale, ossia quella etero. Ci vuole insomma parecchio coraggio a dire quello che ha detto Vasco. Pensate che il quotidiano Repubblica, nel raccontare la seratona al Circo Massimo, non se l'è sentita di scrivere "viva la figa" che, nell'articolo del collega, è diventata "viva la biga". Eppure non ci sarebbe stato niente di male a usare la versione originale: è una frase di Vasco, non dello scrivente. Alla peggio il giornalista si poteva appellare al diritto di cronaca. Invece niente, Repubblica edulcora perché vai a capire se poi, alla fine, qualcuno si offende. Effettivamente l'eloquio usato dal Blasco non è il massimo anche perché ridurre le donne ai loro genitali femminili distrugge anni di lotta perla parità. Per non parlare della possibile indignazione tra chi non vuole saperne di etichette sessuali e rifiuta qualsivoglia discorso riconducibile al sesso biologico. Della serie: non esistono maschi e femmine, ma solo la persona. In quel "viva la figa" c'era insomma abbastanza per scatenare un putiferio. Invece, nulla: sono tutti felici di cantare Albachiara e va bene così.
Quando arriva il momento della canzone Rewind, uno stuolo di ragazze sale sulle spalle degli amici levandosi la maglietta. Per una notte Vasco ci ha quindi liberato dal politicamente corretto e dalla cancel culture. Non tutto quello che ha gridato da quel palco era saggio - ovvio che no - però era sicuramente lecito in un Paese che vuole essere libero e realmente inclusivo. Già che c'era il nostro ha pure mandato a quel paese la guerra: non scomoda riferimenti alti come hanno fatto i Maneskin con Chaplin, ma dice solo un banalissimo «la guerra è contro le donne, contro gli anziani, contro i bambini; dove c'è musica non c'è guerra e dove c'è guerra non c'è musica». Seguono applausi a non finire, manco fosse Shakespeare. A questo punto noi la buttiamo lì: e se mandassimo Vasco, in Russia, al posto di Giletti? Magari funziona.