Il giornalista

Italo Bocchino, profezia su Meloni: "Cosa accadrà alle Europee"

Francesco Specchia

C’è un qualcosa di omerico nella parabola politica di Italo Bocchino. Napoletano, classe ’66, uomo dalle mille astuzie, successi e fallimenti, Bocchino è oggi il figliol prodigo. L’ex politico, da quasi invisibile direttore editoriale del Secolo d’Italia, si è ripreso la scena, spinto in tv dall’esondazione elettorale di Fratelli d’Italia. Ed è tornato alla casa del padre. Anzi, della madre. Mamma Giorgia.

 

 

 

Caro Italo. Da Tatarella alla Meloni, passando per l’ascesa e la caduta dell’esperienza fallimentare del Futuro e Libertà di Fini, all’esilio politico, al lavacro penitenziale da matricola di Fratelli d’Italia. Scusa, ma dove sei stato in tutto questo tempo? E non mi citare Robert De Niro in C’era una volta in America...
«Sono andato a letto presto. Lo dico sempre».

Ecco, l’hai citato. Oggi difendi ferocemente le ragioni del governo in tv. Ma, guardandoti indietro, non ti penti di alcuni atteggiamenti -diciamolo- un po’ da stronzo, come quando preso da ubris, querelasti addirittura i colleghi (come il sottoscritto e la redazione di Libero in blocco)?
«Guarda, in questi anni ho studiato, e cresciute le mie figlie – ora hanno 20 e 23 anni- , ho ristabilizzato la mia vita. Tendenzialmente arriva un momento in cui ti guardi allo specchio, ti rendi conto dei moltissimi errori commessi, ti rimbocchi le maniche e ricominci. Comunque la tua querela l’ho ritirata, qualcun'altra l’ho perfino vinta».

Sei tornato prepotentemente in tv -soprattutto a Otto e mezzo su La7- dove ti trovi in (legittima) minoranza, partendo da una posizione molto partigiana da destra. Come si affrontano le telecamere?
«Lo sai bene anche tu. Innanzitutto, con una preparazione maniacale sugli argomenti di giornata. Bisogna essere preparatissimi soprattutto sui dati, perché i numeri sono testardi e incomprimibili. Per esempio, se mi dicono che c’è crisi nella maggioranza sull’invio delle armi in Ucraina, io rispondo che il centrodestra ha votato compatto un’unica risoluzione, mentre il centrosinistra tre diverse. Poi si consideri che essere presenti in trasmissioni tv tradizionalmente ostili al governo è un dovere. E aggiungo che bisogna anche instillare il dubbio negli avversari che l’esecutivo è migliore di quello che pensano. C’è stato qualche mio interlocutore che, a trasmissione finita, mi ha detto “In realtà noi la Meloni ve la invidiamo molto...”».

Però ci sono anche queste polemiche un po’ macchiettistiche come quella tricologica con Andrea Scanzi. Suvvia, la richiesta del controllo reciproco delle capigliature per controllare le tinture non è esatta M mente lo scontro fra Scalfari e Montanelli.
«Scanzi è un bravissimo giornalista musicale, quando lo leggo mi abbevero. Ma sulla politica è claudicante. Però, siccome ha il senso dello spettacolo e sa che polemizzando con me fa ascolto, ci prova sempre e io non mi sottraggo».

Hai detto che trai giornalisti di parte Vittorio Feltri è il più bravo e Paolo Mieli il numero uno di quelli non di parte. Era una critica o un elogio al “giornalismo militante”?
«Non era esattamente così. Ho detto che Feltri è militante ma è anche il più bravo di tutti, mentre Mieli è il migliore tra quelli ufficialmente non dichiarati. Ci tenevo, però, a tessere l’elogio del giornalismo militante che non ha paura di farlo o di dirlo, senza lasciarsi condizionare nelle idee. In Inghilterra o in America c’è la Fox, per esempio. E il giornalismo militante si divide tra quello dichiarato e quello che nasconde la militanza sotto il tappeto. Per esempio, Il Fatto Quotidiano, che è un ottimo giornale, sostiene benissimo la linea dei 5 Stelle e di Giuseppe Conte; e questo è legittimo, basta che dopo non vengano ad accusare di faziosità il centrodestra...».

Hai anche previsto per Giorgia Meloni un futuro da “nuova Merkel” in un’Europa prossima ventura virata a centrodestra. Da sinistra qualcuno ha riso, qualcuno meno. Confermi?
«Certo. A parte il fatto che quando parlai della Meloni/Merkel il giorno dopo un collega inglese mi mandò un articolo che pubblicò The Spectator quattro mesi fa, che diceva la stessa cosa. E la spiegazione è semplice. Tra un po’ alle prossime elezioni europee cambierà l’asse del potere, e sarà formato da Weber e, appunto dalla Meloni. Che, in questo momento è ascoltatissima in Europa ed è al 5° posto tra le preferenze per i leader mondiali, superiore a Biden. E tieni conto che Macron è una stella cadente: la legge sulle pensioni fatta scavalcando il Parlamento da noi sarebbe stata da arresto immediato...».

 

 

 

Eppure, eri un tenace antisovranista (anche se il sovranismo non c’è più) cosa c’è nella tua attuale foga filomeloniana, quando tutti ora si scoprono meloniani? Sincerità o captatio benevolentiae?
«Io, in effetti ero molto scettico sul progetto di Giorgia, non credevo si potesse rimediare alla diaspora della destra. Mi ha convinto quando ho visto che è riuscita a radunare tutti i conservatori. E nel 2016 mi sono reiscritto al partito, cominciando la mia lenta conversione. E, come tutti i riconvertiti, ora sono diventato ultraortodosso. E, vedi, hai ragione: il sovranismo è stato superato da un – consapevole o inconsapevole non lo so - tatarellismo».

Cioè vuoi dire – tu, l’allievo di Pinuccio Tatarella - che nella Meloni ritrovi lo spirito tatarelliano di limatura, compromesso, ricucitura, unità?

«Sì. Giorgia è, ora, la naturale interprete del pensiero di Pinuccio che credeva nei conservatori uniti di Prezzolini. E una destra unita conservatrice è necessaria per l’Italia e per l’Europa. Te lo dico senza nessun doppio fine: non ho bisogno di favori o di posti, direi che sono sincero».

Però qualche difficoltà c’è. La Germania tende a fregarci sui biocarburanti, per dire. E sei d’accordo quando il presidente Mattarella dice che sul “Pnrr” urge mettersi alla stanga? «Le parole del capo dello Stato per protocollo si ascoltano e non si commentano. Ci sono delle difficoltà certamente dovute a piani fatti dai governi precedenti, e al fatto che molti comuni non sono preparati tecnicamente ai piani di spesa proposti dal Pnrr, e sono in ritardo. Confido che il ministro Fitto possa risolverla presto».

Quali sono gli elementi che determinano l’autorevolezza e la durata del governo?

«Per conquistare autorevolezza un governo ha due chiavi: la politica estera e quella economica. In politica estera Meloni – europeista, atlantista e mediterranea - ha raggiunto un’autorevolezza che non c’era dai tempi di Craxi e di Berlusconi, di Sigonella e Pratica di Mare. In politica economica ha esordito con una manovra a saldi invariati, con lo spread in calo, l’inflazione bloccata, nessuna recessione...».

Ok, ok, mi è chiaro. Parlando dell’inedito successo delle donne italiane leader in politica: secondo te, Elly Schlein è davvero l’anti-Meloni, come dicono (a sinistra)?

«No, la Schlein non è l’anti-Meloni. La Meloni ha riunito il centrodestra e puntato sul criterio di “alleabilità” di Tatarella, che è quello che permette di governare. La Schlein aumenterà di qualche punto l’elettorato del Pd, ma con la sua radicalizzazione a sinistra tende a cancellare l’alleabilità, e completamente, l’idea di “campo largo”: Calenda se ne deve allontanare e Conte deve fare in modo che non gli svuoti il partito...».