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Dracula? Era vegetariano e piangeva sangue: qui cambia tutto

 Dracula

Matteo Legnani
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Vestirsi da Dracula tira sempre, ad Halloween. Il mantello nero, il pallore del viso, i canini lunghissimi e acuminati sono icone dell’horror e del macabro. Già, ma Dracula era davvero quel “vampiro” succhiasangue celebrato (e sicuramente colorito) dallo scrittore Bram Stoker nel suo romanzo del 1897?

In effetti pare di no. Certo, Vlad III, principe di Valacchia (una regione che include anche la Transilvania, oggi facente parte della Romania), non doveva essere esattamente un santo: noto anche come Vlad Tepes (in romeno Vlad l’impalatore), doveva il soprannome alla sua predilezione per l’impalamento dei nemici. Trascorse la sua vita, come il padre Vlad II prima di lui, a difendere il cristianesimo nell’Europa sud orientale. E oggi in Romania è venerato come un eroe popolare pe raver protetto la popolazione rumena sia a sud sia a nord del Danubio dalle scorribande dei turchi.

IMMAGINE TRAMANDATA - Tuttavia, già tra i suoi contemporanei (nacque nel 1431 e morì tra il dicembre 1476 e il gennaio 1477), la sua reputazione di uomo crudele e sanguinario si diffuse in tutta Europa e, principalmente, nel Sacro Romano Impero. Anche il suo nome patronimico (Draculea), usato per indicarlo come figlio e successore del padre Vlad II Dracul (Vlad il Drago) contribuì a plasmarne la fama perchè le parole “drago” e “diavolo” nella lingua romena sono molto simili e così Draculea figlio del drago divenne Dracula, figlio del diavolo.

 

 

Ma un articolo di biologia molecolare pubblicato ad agosto sulla rivista scientifica Analytical Chemistry - rilanciato in Italia da ilpost.it - potrebbe contribuire a cambiare radicalmente l’immagine del “Conte Dracula”. E a portare a una sua “riabilitazione” che porrebbe fine a un mito sopravvissuto per secoli nel folklore di generazioni e generazioni di europei, non solo nelle regioni orientali del continente.

L’articolo illustra i risultati di un’analisi delle tracce ritrovate su tre lettere scritte da Vlad IIIuna nel 1457 e due nel 1475 ritrovate nell’archivio storico della città romena di Sbiu. Tracce non di Dna, ma di proteine rinvenute attraverso la proteomica, tecnica che consente di analizzare i complessi di proteine recuperati da materiali paleontologici e da oggetti personali, come appunto anche libri o lettere. Come riporta sempre il post.it, l’analisi delle tre lettere scritte da Dracula ha creato scalpore per l’assenza di proteine alimentari di origine animale. Tutte le proteine (o peptidi, che sono composti da due o più molecole di aminoacidi), ritrovate nei campioni e solitamente associati all’alimentazione umana provenivano da frutta e verdura, e alcune tracce da funghi e moscerini della frutta. Il che ha spinto i ricercatori a ipotizzare che Dracula fosse vegetariano. Addirittura vegano, visto che è alquanto probabile che molta di quella frutta e verdura venisse consumata cruda. Non per scelta, ma per ragioni di salute o per mancanza di alternative, anche a causa del clima particolarmente freddo nell’Europa del XV secolo e della scarsità, all’epoca, di cibi molto proteici in Valacchia, che era una regione contadina estremamente povera.

 

 

PROTEINE ANTICHE - Gleb Zilberstaein, coautore dello studio, ha spiegato anche che, sebbene altre persone abbiano verosimilmente maneggiato le lettere all’epoca, è presumibile che le proteine antiche più importanti, risalenti a più di cinquecento anni fa, siano con una verosimile certezza correlabili a Vlad III, che scrisse e firmò quegli scritti.

E potrebbero indicare che, compatibilmente con alcuni racconti risalenti all’epoca e poi tramandati attraverso i secoli, Vlad III abbia sofferto negli ultimi anni della sua vita di emolacria, una condizione clinica rara che porta alla produzione di sangue nelle lacrime e che potrebbe aver avuto un peso notevole nella creazione del mito del “vampiro adoratore del sangue” che è stato trasmesso fino ai giorni nostri. Oltre a ciò, ma questo è meno interessante agli effetti del personaggio mitologico, è probabile che Dracula abbia sofferto anche di processi infiammatori delle vie respiratorie e della pelle. Come tutti i comuni mortali di questo mondo. La proteomica è una branca della biologia che sta conoscendo un notevole sviluppo negli ultimi due decenni: sfruttando il fatto che le proteine tendono a degradarsi più lentamente del DNA e possono, nelle giuste condizioni, rimanere pressoché invariate per milioni di anni, gli scienziati la stanno utilizzando anche per analizzare opere d’arte antiche e resti archeologici.

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