Sarà pure un tuffo nella nostalgia un po’ in stile film dei Vanzina, ma negli anni Ottanta c’erano dei miti, dei modelli alquanto orrendi, che però in quell’atmosfera spensierata, ottimistica (i moralisti direbbero consumistica) erano tutto sommato innocui come eroi dei fumetti: in musica, c’erano i terrificanti gruppi inglesi come i Duran Duran e gli Spandau Ballet (certo per cantare canzoncine synth-pop evocando il distretto di Spandau, sede del carcere berlinese dei gerarchi nazisti post-Norimberga, doveva proprio essere cambiata un’epoca...), c’era la gara tra Ferrari Testarossa e Lamborghini Countach, c’erano i bellissimi di Retequattro, c’era Marvin Hagler nella boxe (lui non era orrendo, era grandioso), c’era Tom Cruise in Top Gun (premio della giuria del liceo nella categoria “accendi meno neuroni possibile, conta solo sugli ormoni”) e poi, ogni tanto, nella categoria “Pride capitalista”, molto più di Agnelli, Berlusconi e dell’Aga Khan – il cui nome veniva evocato a ogni atterraggio a Olbia – c’era lui, il più mitico dei mitici, “il sultano del Brunei”.
Questo, il suo titolo, era il suo nome per tutti noi, non ne aveva uno anagrafico, tutti ignoravano come si chiamasse realmente, una faccenda tra l’altro chilometrica, ma che abbreviamo, come Wikipedia, in Hassanal Bolkiah. Tantomeno si sapeva dove cavolo fosse il Brunei (monarchia assoluta di stampo islamico – sultanato – sull’isola del Borneo, nel sud-est asiatico). Quello che bastava, in quel decennio così competitivo da trasformare la competizione in una burla – e dunque intriso di una competitività molto meno feroce e crudele di quella, morbida e ipocrita, di oggi – era sapere che il sultano del Brunei era “l’uomo più ricco del mondo”. Anche qui, tale cognizione non era mai verificata scientificamente, qualcuno l’aveva messa in giro, e la notizia era entrata in orbita, e tutti si conformavano. Forse, per un lungo periodo, è stato anche vero, prima che la storia voltasse pagina e arrivasse l’ondata dei tech nerd, con in testa Bill Gates.
Comunque l’occasione per questo strampalato Amarcord è fornita da una notizia che ha qualcosa di spiazzante: il sultano del Brunei, oggi 78 anni, è stato ricoverato in un ospedale, il National Heart Institute di Kuala Lumpur, a causa di ciò che i media anglofoni chiamano “fatigue”, e che si può tradurre con termini che vanno da stanchezza, spossatezza a esaurimento. Insomma, il sultano del Brunei è crollato durante un summit, non gliela fa più. Dal suo entourage, naturalmente, fanno sapere che “sua maestà sta bene... ma si sentiva stanco”. Dovrà però restare in ospedale per qualche giorno. Certo, l’età... anche se 78 anni, oggi, non è che siano proprio un limite estremo. Colpisce insomma che anche quest’uomo che negli anni Ottanta era semplicemente l’incarnazione del capitale, una sorta di Paperon de’ Paperoni che affogava nei suoi incommensurabili denari uscito dalle pagine di Topolino e trasferitosi nel – per noi – fantastico, mirifico Brunei, abbia pure lui sentito il rintocco sinistro della campana, quella che ti dice: ferma, piano, che così ti schianti. E ci viene anche un’altra curiosità: che ci farà un uomo vecchio, e stanco, e impotente di fronte alla fragilità umana, con tutti quei fantastilioni? I soldi, a quanto pare, sono una bellissima cosa, una pacchia ma la ruota gira pure per i sultani di reami da fiaba, e il quadro nostalgico di quel folle, sfrenato decennio mostra una crepa in più.