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M5s, ennesima follia: ora va a caccia di noi giornalisti

Udite udite, il capogruppo grillino in Vigilanza, tale Dario Carotenuto si scaglia contro il nostro Capezzon e Giletti. E perché mai... ?
di Daniele Capezzone mercoledì 1 ottobre 2025

4' di lettura

Bei tempi quando Giuseppe Conte si sdraiava comodamente sulle reti Rai, quando la comunicazione grillina stilava blacklist, quando i porta vocianti pentastellati dettavano condizioni per “concedere” con magnanimità il grande dono della presenza in un programma di un loro leader o sottoleader. Quella era la loro idea di libertà di parola e di servizio pubblico. Così come tuttora non si registrano mal di testa e mal di pancia per ciò che accade, a reti semiunificate, quando un conduttore di sinistra aggredisce l’ospite “destro”, o quando sempre il “destro” di turno è circondato nel collaudato schema “quattro contro uno”. E invece stavolta? Fulmini e saette contro Massimo Giletti e perfino contro chi scrive questo articolo.

Tenetevi ben saldi perché arriva roba forte: si è scatenato (udite udite) il capogruppo grillino in Vigilanza, tale Dario Carotenuto. «Giletti e Capezzone senza pudore», grida l’onorevole come se fosse un gerarchetto. E come mai? Perché Massimo Giletti sarebbe colpevole, nel suo “Lo stato delle cose”, di aver intervistato il senatore pentastellato Roberto Scarpinato. Il quale - indubbiamente - non ha passato un bel quarto d’ora: ma per colpa sua, mica di altri. Doveva spiegare come e perché avesse interloquito con il suo ex collega magistrato Gioacchino Natoli (ora sotto inchiesta a Caltanissetta con l’accusa di aver favorito la mafia con l’affossamento di parti dell’inchiesta su mafia e appalti) alla vigilia dell’audizione di quest’ultimo in Commissione Antimafia, della quale Scarpinato è membro. Ora immaginate che avrebbero combinato i pentastellati se fosse stato un parlamentare di centrodestra accusato di aver preparato un’audizione insieme con il soggetto da ascoltare: si sarebbero aggrappati ai lampadari di Montecitorio. E invece stavolta s’incazzano con Giletti, che ha fatto domande e ha consentito a Scarpinato di dare le sue risposte. Risposte deboli e imbarazzate (come io credo)? O invece risposte robuste e convincenti? Lo giudicheranno i telespettatori di Rai 3.

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Dopo di che il piccolo censore grillino se la prende anche con me: «Capezzone, un personaggio senza pudore che si è persino permesso di attaccare Federico Cafiero De Raho». E qui siamo al reato di lesa maestà. Cari grillini, lo ribadisco qui: per quanto mi riguarda, il senatore Scarpinato, dopo la figuraccia che ha rimediato, dovrebbe dimettersi dalla Commissione Antimafia. E lo stesso dovrebbe fare l’onorevole Federico Cafiero De Raho (vicepresidente della Commissione), che fu procuratore antimafia nel periodo in cui un sottufficiale della Guardia di Finanza è accusato di aver effettuato un megadossieraggio, con decine di migliaia di documenti illegalmente scaricati da archivi riservati. Cafiero non si accorse di nulla (e noi ovviamente siamo garantisti verso di lui): ma è un po’ clamoroso che ora sieda nella Commissione che sta indagando su quella faccenda, senza peraltro essere lui stesso sentito da quell’organo.

E allora che vuole il Carotenuto? Contro il perfido Giletti e l’orrido Capezzone chiede «ai vertici aziendali di intervenire con fermezza». Ohibò. E non finisce qui, perché a stretto giro di posta si sono fatti vivi sulle agenzie - come un plotoncino di censori - altri quattro membri pentastellati della Commissione Antimafia (Ascari, Bilotti, Gubitosa, Nave). Notevole che almeno in questo caso Cafiero e Scarpinato si siano astenuti. Anche qui attacchi scomposti a Giletti, e un passaggio tragicomico su quello che i grillini chiamano «l’indecente monologo del giornalista politicamente orientatissimo Capezzone». Ah sì? Informo i quattro vigilantes pentastellati (che, di tutta evidenza, nemmeno hanno visto la trasmissione) che il mio intervento è avvenuto in contraddittorio con la giornalista Giovanna Botteri. Ricapitolando. Ai grillini non va bene se Massimo Giletti fa domande a un loro parlamentare, che ha avuto tutta la possibilità di dire la sua. E sempre a loro non va bene nemmeno il successivo contraddittorio tra due giornalisti di opinione opposta. Cosa vogliono, di grazia?

Un sospetto ce l’ho: vorrebbero che non si parlasse più del dossier mafia-appalti, realizzato a suo tempo (1991-1992) dai Ros dei Carabinieri e particolarmente caro a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. È possibile ritenere che, se si fosse scavato a fondo anziché affossare l’inchiesta, sarebbe venuta fuori una connessione non episodica tra corruzione partitica, grandi imprese, cooperative (incluse quelle rosse) e vertici mafiosi. Capite bene che la più recente storia d’Italia sarebbe stata significativamente riscritta. E sarebbe stato ben difficile evocare la diversità morale della sinistra ex comunista. Non a caso quel dossier e la relativa indagine restano un enigma. Perché il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco telefonò a Borsellino, per affidargli l’inchiesta, all’alba della domenica in cui il magistrato fu ucciso? Non poteva vederlo il giorno dopo? E perché poi ci fu una corsa affannosa per affossare l’indagine? Perché a Giammanco, morto nel 2018, non furono chieste spiegazioni? E, come ora la procura di Caltanissetta intende chiarire, ci sono stati magistrati che hanno lavorato per favorire Cosa Nostra? Qualche ex magistrato, molti ex comunisti e qualche ex grillino sono forse inquieti perché c’è finalmente qualche possibilità di far luce su quelle oscure pagine di storia italiana?

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