“Un Casanova”: non sono tanti gli esseri umani che sono riusciti a far diventare il proprio nome addirittura un sostantivo antonomastico. Il 2 aprile sono stati i tre secoli dalla sua nascita, e infatti attorno a questa ricorrenza sono uscite varie opere. Ma un altro periodo di grandissimo interesse per l’avventuriero veneziano fu nell’Austria a cavallo tra XIX e XX secolo: una “moda” il cui esito fu in questo Casanova di Stefan Zweig, ora ripubblicato da Settecolori (Pp. 140, 16 euro).
Se Casanova è stato ora riletto come un antesignano degli influencer, Zweig è stato a sua volta un maestro della divulgazione. Anche Indro Montanelli fu influenzato da lui, e perfino un popolare cartone animato come Lady Oscar è ispirato alla biografia che Zweig dedicò a Maria Antonietta. Tipico figlio della grande borghesia ebraica mitteleuropea, nostalgico del clima dell’impero multiculturale degli Asburgo, Zweig a parte sfornare best-seller a ripetizione negli anni ’20 e’30 cercò anche disperatamente di difendere i valori cosmopoliti e pacifisti della Belle Époque della sua giovinezza di fronte alla marea montante dei totalitarismi, per poi riparare in Brasile durante la Seconda Guerra Mondiale, e lì suicidarsi nel 1942, a 61 anni.
IL MONDO DI IERI
In calce a questo testo c’è un saggio di Matteo Galli e Arturo Larcati. L’uno autore della prima traduzione italiana, a cura di Matteo Galli, basata sulla versione definitiva del 1936: fino a oggi, i lettori italiani avevano potuto leggere soltanto la traduzione di Enrico Rocca, pubblicata nel 1933 ma basata su una redazione precedente del 1928. L’altro è direttore dello Stefan Zweig Zentrum di Salisburgo. I due osservano appunto che «Casanova, soprattutto quando viene ritratto, in età matura, rappresenta il correlativo oggettivo di quell’atmosfera di lento declino che contraddistingue la società austriaca a un passo dal definitivo tramonto dell’Impero».
Insomma, Zweig racconta Casanova, ma in gran parte come chiave per raccontare il suo “Mondo di ieri” – altro suo famoso best-seller, appunto sulla società che era stata uccisa dalla Grande Guerra. Tanto ci tiene al veneziano, che lo inserisce in una serie di biografie che si intitola ai “Costruttori del mondo”, e che era iniziata nel 1919 con la pubblicazione di un primo gruppo dei tre grandi romanzieri ottocenteschi Balzac, Dickens e Dostoevskij: era proseguita nel 1925 con un terzo trittico “La lotta con il demone” su Hölderlin, Kleist e Nietzsche, per poi arrivare nel 1928 ai “Tre poeti della propria vita”, in cui Casanova era stato inserito con Stendhal e Tolstoj. Tra l’altro, al posto del Rousseau del progetto iniziale.
Lo stesso Zweig nel profilo che tratteggia sembra voler rispondere alla spontanea domanda: ma cosa ha fatto questo seduttore e avventuriero di tanto epocale da venire inserito in una lista di intellettuali così influenti?! «Casanova è un caso speciale, un caso unico e fortunoso nella letteratura universale, soprattutto perché la presenza di questo grandioso ciarlatano è ben poco giustificata all’interno del Pantheon degli spiriti creativi quanto Ponzio Pilato lo sarebbe nel campo della fede», parte subito il testo. «La sua nobiltà poetica è infatti tanto inattendibile quanto il titolo sfacciatamente raffazzonato di cavaliere di Seingalt: i pochi versi, improvvisati in tutta fretta in onore di questa o quella madamina tra il letto e il tavolo da gioco, puzzano di muschio e di solfa accademica, e, quando il nostro buon Giacomo si mette addirittura a filosofare, conviene tener belle ferme le guance per non mettersi a sbadigliare». Insomma, «Casanova non appartiene alla nobiltà poetica, così come non rientra nell’Almanacco di Gotha, parassita in un caso come nell’altro, un intruso senza diritti e senza rango». Ed è «non meno spericolato il modo in cui questo figlio miserabile di un attore, prete discacciato, soldato in disarmo, baro malfamato sia riuscito per tutta la sua vita a frequentare imperatori e re, morendo infine tra le braccia dell’ultimo gentiluomo, il principe di Ligne, e la sua ombra persistente abbia saputo farsi strada tra gli immortali».
«Fatto curioso! – non lui, bensì tutti i suoi celebri compatrioti e sublimi poeti d’Arcadia, il “divino” Metastasio, il nobile Parini e tutti quanti sono diventati macerie da biblioteca e foraggio filologico, mentre il suo nome, accompagnato da un rispettoso sorriso, ancora oggi fluttua sulla bocca di tutti».
DON GIOVANNI...
Insomma, «con un colpaccio quell’astuto giocatore d’azzardo ha battuto tutti i poeti italiani dai tempi di Dante e di Boccaccio». Appunto, dalla sincerità con cui racconta la sua vita sessuale nasce il sostantivo antonomastico da cui siamo partiti, e che viene spesso confuso con l’altro sostantivo antonomastico Don Giovanni, rispetto al quale però Zweig ci spiega che in realtà è l’opposto. Don Giovanni, infatti, umilia la donna; Casanova vuole invece che goda assieme a lui. Ma, a parte ciò, dalle memorie di Casanova «conosciamo meglio che grazie a chiunque altro la vita quotidiana e quindi culturale del Diciottesimo secolo, i suoi balli, i teatri, le caffetterie, le feste, le locande, le sale da gioco, i bordelli, le cacce, i monasteri e le fortezze. Grazie a lui sappiamo come si viaggiava, si cenava, si giocava, si ballava, si viveva, si amava, ci si divertiva, i costumi, le maniere, il modo di parlare e di vivere. E a questa inaudita abbondanza di fatti, di realtà pratiche e oggettive si unisce anche tutto questo vorticoso tumulto di figure umane, sufficiente a riempire venti romanzi e a rifornire una, macché, dieci generazioni di romanzieri».