Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo»: sono le prime parole di Anna Karenina di Lev Tolstoj, l’immenso romanziere russo. Immenso in quanto di grandezza quasi immensurabile, come le pianure di Guerra e pace, il suo capolavoro, in cui i teatri di guerra sono giganti assopiti sulla terra i cui confini si disperdono nell’orizzonte. Con Dostoevskij, per noi Tolstoj è la Russia. Quella che abbiamo creduto di conoscere attraverso la sua letteratura, non quella di oggi, che percepiamo come una minaccia. Ma forse per capirla, al di là delle amare contingenze, è lì che dobbiamo tornare. E a proposito di famiglie che sono tutte felici allo stesso modo, ma divergono non poco quando soffrono, nulla è meglio di Anni con mio padre della figlia, Tatiana Tolstoj (Ed. Bibliotheka, p. 362, €19), in cui i tratti del dolore di Tolstoj sono descritti con un candore e un amore filiale che commuovono.
IL MATRIMONIO
«L Chi non conosce la biografia del sommo russo, difficilmente può capire perché un uomo che ha avuto tutto dalla vita debba soffrire. Perché Tolstoj, nato nel 1828 nella tenuta della sua blasonata famiglia a Jasnaja Poljana, per diventare un bel giovane che si dà alla pazza gioia negli anni verdi, quindi si pente degli eccessi e sposa Sofja Bers, la giovane figlia del medico di corte dello zar, la vita è riuscito a complicarsela come pochi altri. I due si amavano davvero, tanto che si sposarono solo dopo una settimana di fidanzamento ed ebbero tredici figli. I primi anni insieme sembrano una favola, con i bambini che crescono felici in uno scenario incantato e Sofja, detta Sonja, che del marito diventa la segretaria particolare ricopiando a mano i suoi capolavori e all’occorrenza consigliandolo. Poi qualcosa si spezza, soprattutto dopo la morte di tre dei loro bambini.Ma una promessa d’infelicità c’era fin dall’inizio. Sonja era cresciuta tra le luci scintillanti del Cremlino, a Mosca ogni sera c’erano un ballo, un ricevimento, un’opera a teatro, e non le era facile abituarsi al silenzio di Jasnaja Poljana, da dove Tolstoj non intendeva muoversi. In verità avranno un periodo moscovita, per consentire ai ragazzi di studiare e di farsi una vita, ma l’anima dello scrittore rimane in quella landa punteggiata di campi e di vasti boschi, che abbiamo visto alle spalle del romanziere nelle sue rare fotografie.
Lui, già anziano, vestito in abiti tradizionali e con la lunga barba bianca, sembra un asceta. Anzi, lo è. Talmente ascetico da dormire con la testa appoggiata a un cuscino di cuoio, senza federa, sin dal primo giorno di matrimonio. Tolstoj si sentiva in colpa per la sua ricchezza, riteneva ingiusto che i contadini si spaccassero la schiena nei campi per permettere a quelli come lui di vivere nell’ozio. Tuttavia così vivono, i piccoli Tolstoj, nei primi anni di vita: con la tata inglese per imparare perfettamente la lingua. E poi lezioni di francese, italiano, tedesco, la musica e tutto quanto il resto, crescono con la stessa educazione ricevuta dai genitori. Ma il senso di colpa corrode l’anima a Tolstoj, che si avvicina sempre di più ai suoi contadini: si occupa dell’istruzione dei bambini, va a lavorare nei campi con loro; a volte, trascina con sé i figli e in qualche occasione anche la bella moglie, e non osiamo immaginare quanto debba aver patito, lei che non conosceva gli stessi tormenti, abbassandosi a tanto pur di salvare l’amore. Il punto di rottura arriva quando lo scrittore decide di rinunciare ai diritti d’autore dei libri, di fatto diseredando i figli.
LE LITI
Tatjana descrive lo sfaldarsi della famiglia. Chiarisce il mistero Tolstoj, quel suo essere cristiano come lo erano stati i primi discepoli, all’alba del tempo, che lasciarono tutto per seguire Gesù. Alla fine Tolstoj segue Gesù, o almeno crede di farlo, e questo dopo averlo minacciato per decenni, chiudendo l’esistenza con un finale che sembra uscito da un suo romanzo. Non sopportava più le liti, le discussioni, le inevitabili differenze di vedute tra la madre di famiglia e l’artista: a nulla valsero i timori che alla fine si suicidasse, come aveva rischiato di fare anni prima, quando teneva a portata di mano un cappio con cui impiccarsi. Il dado era tratto: la notte del 28 ottobre 2010 se ne va di casa. E se Anna Karenina si era suicidata gettandosi sotto un treno, Tolstoj sale su un vagone di terza classe diretto in Crimea. Lascia una copia dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij aperta e una lettera in cui ringrazia la moglie per i 48 anni trascorsi insieme. Sarebbe tornato a casa solo per essere sepolto: durante il viaggio, per il freddo e per l’età, prende la polmonite e si spegne in un luogo umilissimo, la casetta del capostazione, proprio lui, che aveva sognato di poter vivere come gli ultimi, riesce almeno a morire come tale. Il posto si chiamava Astapovo ed era ignorato pressoché da tutti. Ora si chiama Lev Tolstoj. Ci vivono 8.800 anime, senza che Gogol sia lì a contarle. Ma sicuramente hanno letto tutto Tolstoj, dalla prima all’ultima riga.