La Cei di oggi, guidata dal cardinal Zuppi, è ormai l’orticello clericale del “campo largo”. Il Sinodo realizzato dalla Conferenza Episcopale, su direttiva bergogliana, ha approvato un documento finale che ha fatto notizia per una cosa grottesca sintetizzata dal titolo dell’Ansa: «Documento Assemblea sinodale: “La Cei supporti i Gay Pride”». Ormai anche molti omosessuali – quelli non ideologizzati – guardano con noia e distacco, se non fastidio, ai Gay Pride. Il Sinodo della Cei, modello Pd, no. Ma è davvero questa la cosa più sensata e più urgente per la Chiesa? Scorrendo tutte le 65 pagine del documento, viene in mente l’aforisma del grande poeta polacco Stanislaw Lec: “In principio era il verbo, alla fine le chiacchiere”. E sono tutte chiacchiere politicamente corrette. Perfino nel lessico: pure loro scrivono “tutti e tutte”. Parlano di “Chiesa in ascolto”, ma ascoltano solo con l’orecchio sinistro. E poi ammettono: “Da più parti si registra un calo della partecipazione”.
Un comodo eufemismo per non dire catastrofe, quella del pontificato bergogliano. Si vedano in questo senso i dati dell’ultima indagine del Pew Research Center che Sandro Magister aveva sintetizzato così: «La Chiesa italiana ha il primato mondiale degli abbandoni». Spiegava che questa indagine «proprio in Se avessero meditato su questo, avrebbero dovuto riconoscere il fallimento di quel pontificato e il loro, che peraltro ha reso la Chiesa italiana oggi totalmente irrilevante. Ma non fanno autocritiche. Né conversioni. Scelgono di perseverare sulla stessa strada che ha già portato nel baratro. Invece della realtà preferiscono discutere di ruoli nelle diocesi e nelle parrocchie e altre cose clericali, appassionanti quando una gara di uncinetto. E poi fiumi di retorica sull’accoglienza, la pace, l’ecologia e i migranti (ovviamente senza considerare tutti i problemi sociali e di sicurezza dovuti all’immigrazione di massa, né la crescente islamizzazione dell’Europa).
Vista questa desolante situazione, ci sono ormai molti cattolici che escogitano piccole forme di resistenza e sopravvivenza al “clericalmente corretto”.
Prima misura di prevenzione: evitano qualunque discorso o documento o articolo o intervista che venga dai vertici ecclesiali di oggi. Materiale cartaceo utile soprattutto per stabilizzare tavoli traballanti, per incartare le uova del contadino o per avviare il fuoco del barbecue. Preferiscono la lettura e la meditazione di libri e testi che hanno una vera consistenza spirituale o dottrinale. La seconda contromisura adottata riguarda ciò che c’è di più sacro per l’establishment ecclesiastico: l’otto per mille. Un umorista, interrogato in proposito, rispose: «No no, macché mille! Lotto per me stesso ed è già molto dura». In effetti la vita, per la gente comune, per i padri e le madri, è assai impegnativa. Il mondo clericale lo ignora o se ne infischia (qualche vescovo infatti lamenta il pochissimo spazio dedicato alla famiglia nel documento). E dunque, tanti cattolici vedono un unico modo efficace per farsi sentire ai piani alti delle Curie: non firmare l’otto per mille. C’è chi se ne astiene a intermittenza per non danneggiare tanti buoni parroci. Ma vogliono far arrivare almeno il segnale.
Terzo. Alcuni chiedono apertamente che gli attuali ecclesiastici siano fedeli al magistero della Chiesa di sempre e la smettano di fare i propagandisti del Pd (o Avs o M5S), di fare comizi (sul pulpito o sui giornali) e di occuparsi di cose su cui non hanno nessuna competenza. A tal proposito, molti cattolici evitano di dare il proprio voto a partiti che, sebbene suggeriti dal ceto ecclesiastico, sono ideologicamente o praticamente anticristiani o woke, anche se ci sono componenti che si definiscono cattoliche. Del resto già nel 1977, Augusto Del Noce, scriveva: «È effettivamente ipotizzabile una sorta di neoclericalismo, in cui confluiscano cattolici senza fede e comunisti senza fede; la mancanza di fede servendo da cemento». Così, la maggioranza dei cattolici evita di votare i partiti sponsorizzati dai vescovi anche considerando le loro politiche complessive riguardo all’immigrazione e all’ordine pubblico e rispetto alla difesa del nostro interesse nazionale, della libertà, del lavoro, della stabilità e dei nostri valori.
OPERE DI MISERICORDIA
Un’altra contromisura che applicano: sostengono i sacerdoti, i missionari e i religiosi che non seguono le sirene dei giornaloni e difendono i cristiani perseguitati, specie quelli (cinesi) ignorati dalla Curia e quelli colpiti dell’islamismo che certi alti ecclesiastici, per non urtare il mondo musulmano, definiscono vittime di conflitti sociali, anziché religiosi. Alcuni gruppi di cattolici, inoltre, s’impegnano di più nelle opere di misericordia corporale e spirituale, queste ultime dimenticate dai vescovi che vogliono evitare – dicono - di essere “divisivi” (ma Gesù era divisivo: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione”, Lc 12, 51).
La svolta pro gay divide i vescovi italiani
Più che attraverso la sinodalità, è per un colpo di grazia che la Chiesa cattolica in Italia si rit...Soprattutto, crescono silenziosamente fra i cattolici tante iniziative di preghiera per la Chiesa nella tempesta, e specialmente per quei vescovi ormai dediti a proprie battaglie politiche invece che alla vita spirituale, all’insegnamento della dottrina cattolica (quella del Catechismo della Chiesa cattolica) e alla preghiera (che il card. Parolin ritiene meno efficace, perla pace, delle manifestazioni ProPal). Invece i cattolici che pregano sanno che, come scriveva profeticamente Joseph Ratzinger, «il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente. Il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia».




