Una volta dichiarati abili e arruolati nel gioioso esercito della sinistra la dottrina da seguire è una sola ed è quella impartita dai sergenti istruttori, su delega del generale supremo in segreteria. E la militanza deve essere continua e in linea con le strategie politiche, meglio se ortodosse. Guai a sgarrare. Ne sa qualcosa Susanna Tamaro, che a forza di ripetere “Va’ dove ti porta il cuore” ha trovato “La via del cuore” col suo ultimo romanzo per Solferino. Nell’ospitata promozionale ai microfoni di Un giorno da pecora ha candidamente confessato che a sua insaputa viene ormai considerata una di destra. Questo, sempre a suo dire, per colpa di un precedente romanzo, “Anima mundi”, i cui contenuti i censori di partito e caravanserraglio di contorno avrebbero ritenuto in contrasto con la sua formazione familiare e culturale, e del partito.
LESA MAESTÀ
E così l’elettrice prima del Pci e infine, dopo un paio di giravolte di sigla, pure del Pd, si è ritrovata sconsacrata dalla sua parrocchia di provenienza e di appartenenza. Reato di lesa maestà ideologica per aver trattato, come la Tamaro ha sottolineato ai conduttori della trasmissione di Radio 2 Giorgio Lauro e Geppi Cucciari, l’argomento scabroso dei gulag in Jugoslavia. Irritante per gli eredi e i nipotini di quel Pci che descriveva la Jugoslavia come il paradiso socialista in terra, tutta pace, giustizia e prosperità, tanto accogliente da mandarvi a svernare i partigiani rossi che in Italia avevano qualche problemino non di poco conto con la Giustizia penale.
Qualcuno più realista del re e più comunista del compagno Tito ha pensato bene di additarla a neo esponente del fascismo di ritorno, uno dei tanti indefiniti che la sinistra sbandiera di continuo parlandone sempre al plurale e a casaccio con la speranza sinora disattesa di beccare qualcosa e qualcuno nel gruppo. Anche perché basta non essere allineati e coperti alla messa cantata di sinistra per diventare automaticamente reietti del bel mondo dell’unica cultura riconosciuta: quella autoproclamata, di indirizzo e di tendenza.
La povera Tamaro ha sintetizzato al meglio la sua disavventura di etichettatura politica: «Sono diventata rappresentante della destra senza esserlo mai stata e ho capito molto di questa sinistra». E ha raccontato pure che una volta un giornalista spagnolo la chiamò per chiederle se era vera la notizia di una fonte sicura che la scrittrice stava per candidarsi al posto di Gianfranco Fini alla guida di Alleanza Nazionale. Dalla politica alla fantapolitica ce ne corre, anche se al giorno d’oggi un po’ di visibilità val bene una messa, e anche quella all’indice va bene. E se poi c’è anche un alone di martirio allora altro che via crucis: se non “La via del cuore”, potrebbe essere la via della ragione a portare Susanna Tamaro a interrogarsi su cosa sia questa sinistra sempre pronta a dispensare patenti e tessere di fedeltà a punti, che alla cantata dei giorni pari e a quella dei giorni dispari innalza il “Te deum” ai propri accoliti e il “De profundis” a tutti gli altri, perché la libertà sarebbe a rischio, la democrazia in pericolo e l’Italia viene descritta con molta fantasia e altrettanto molta malafede.
NERVO SCOPERTO
La povera Tamaro è andata a toccare il nervetto scoperto che viene titillato ogni volta che viene onorata la memoria di Norma Cossetto, o si celebrano le vittime delle foibe, osi osa persino affermare che non è poi così vero che l’Armata Rossa di Stalin ha combattuto il nazismo per conquistare la libertà dell’Europa e neppure che i partigiani hanno liberato l’Italia. Ma mica si può dire a cuor leggero, neanche su una via romanzesca. A Un giorno da pecora Tamaro ha rivelato un coraggio da leone: nell’uscire allo scoperto e dall’album delle figurine di un partito che le cambia e le scambia come una volta si usava per completare la raccolta. Solita litania: “celo”, “manca”, ma dipende dal colore della maglietta.




