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Dolkun Isa: "Il mondo intero è schiavo della Cina"

di Giovanni Terzi lunedì 2 gennaio 2023

6' di lettura

Riproponiamo "Le interviste con i protagonisti" di Giovanni Terzi. Qui il colloquio con Dolkun Isa politico e attivista cinese uiguro

«L'Unione Europea, per ora, sta dimostrando un grande supporto nei confronti dell'Ucraina. Personalmente ritengo che tutto questo sia un fatto molto giusto in quanto questa non è una guerra tra la Russia e l'Ucraina, ma è un conflitto tra la democrazia e i regimi totalitari. Se Putin vincesse questa guerra significherebbe che la democrazia e la libertà sparirebbero in Europa. Per questo tutti i Paesi devono essere uniti ed è necessario impostare maggiori sanzioni alla Russia, dando più supporto militare all'Ucraina. Ci sono Paesi europei che continuano i loro legami economici con la Russia, come la Germania che continua a importare gas ed elettricità, ma si deve prendere provvedimenti affinché non sussistano più delle dipendenze economiche con un Paese che ha scelto la guerra come strumento di conquista».

Così inizia l'intervista insieme a Matteo Angioli, segretario del Global Committee, Dolkun Isa politico e attivista cinese uiguro della regione autonoma dello Xinjiang, nel nord est della Cina, dove vive la minoranza turcofona musulmana degli Uiguri.

Dolkun Isa è il 3º presidente del Congresso Mondiale Uiguro, in carica dal 12 novembre 2017. In esilio dal 1996 vive a Monaco di Baviera dal 2006.

Lei vede delle somiglianze con la Guerra Fredda e questo conflitto tra democrazia e autocrazia?

«Sì, ci sono tante somiglianze. La Guerra Fredda non è arrivata alle bombe, e sono tanti anni che i Paesi europei non percepiscono più la Russia come una minaccia immediata. Ma adesso i leader dei Paesi europei devono capire quanto sia pericolosa la Russia di Putin per la democrazia. Come abbiamo visto, la Cina non ha condannato l'invasione russa dell'Ucraina, dandole addirittura sostegno economico. Questo è nella logica che i regimi totalitari si stanno alleando. Per questo io ritengo questa guerra un episodio grave contro il sistema democratico mondiale».

Lei pensa che l'alleanza tra la Cina e la Russia si stia rafforzando, nonostante la guerra?

«È difficile parlare del futuro, ma se i Paesi occidentali, la Nato, le democrazie, imponessero più sanzioni contro la Russia e la Cina, allora questa loro alleanza verrebbe distrutta e il pericolo contro la democrazia cesserebbe. Ma i Paesi europei dovrebbero riconoscere anche i crimini della Cina contro gli uiguri. Ma se le democrazie scelgono di ignorare il problema solo perché la Cina non ha bombardato gli uiguri come la Russia ha fatto in Ucraina, anche se ne sono stati uccisi comunque più di tre milioni, commettendo un vero e proprio genocidio, si rischia solo che questi due grandi poteri si uniscano di più, aumentando il pericolo per le democrazie. Per questo credo che i Paesi europei abbiano fatto la scelta giusta a implementare le sanzioni contro la Russia e spero che la stessa cosa sarebbe corretto fare nei confronti della Cina».

La Cina ha adottato politiche repressive nei confronti del Tibet, degli uiguri, di Hong Kong e ora punta a Taiwan. Come vede lo sviluppo di questo conflitto e come vede la Cina nei decenni successivi?

«La Cina non è arrivata a questo punto in un giorno, è andata avanti passo per passo, sfidando i limiti degli altri Paesi. Il governo cinese ha sempre dimostrato delle politiche di discriminazione verso il popolo degli uiguri, ma più recentemente queste politiche si sono trasformate e sono culminate in politiche di genocidio ma a livello internazionale non c'è stata alcuna reazione. Alcune organizzazioni non governative internazionali hanno condannato le azioni della Cina, ma la maggior parte dei leader politici ha continuato a ignorare la questione per motivi di puro interesse economico. Anche nella comunità islamica c'è stata una grave mancanza di risposta, se questi eventi fossero accaduti in qualsiasi altra parte del mondo sono sicuro che i leader islamici li avrebbero condannati. Quel che è più grave è che la Cina ha fatto peggio di chiunque altro in termini di genocidio, e nessuno parla contro queste azioni. Questo è anche, in gran parte, responsabilità dei Paesi occidentali. Venti o trent'anni fa, la Cina non era la seconda potenza economica più forte. Per esempio, nel 1989 l'Europa e gli Stati Uniti hanno sanzionato il governo cinese, che non ha potuto reagire. Questa volta, invece, la Cina è in grado di reagire, minacciando non solo il Tibet, gli uiguri e Hong Kong, ma anche la democrazia e i diritti umani globali».

Cosa si può fare per fermare tutto questo?

«Come abbiamo visto, la Cina sta usando tutti gli strumenti a sua disposizione, facendo leva sul suo potere economico per manipolare il diritto internazionale e le istituzioni internazionali. Sta anche cercando di manipolare e minare a livello accademico. Oggi, molte istituzioni accademiche in tutto il mondo vengono messe a tacere dalla Cina, in cambio di vantaggi economici. Se i Paesi occidentali continuano a cercare vantaggi economici dalla Cina, le conseguenze a lungo termine saranno spaventose. Rischiamo di arrivare, fra 10 anni, a un punto di non ritorno in cui i Paesi europei dipenderanno economicamente dalla Cina e allora sarà troppo tardi per salvare la democrazia. È tempo di intraprendere azioni concrete».

Veniamo alla situazione degli uiguri. Lei è dovuto fuggire dalla sua terra quando era più giovane, può raccontarci qualcosa al riguardo e come è finito in Germania?

«Questa discriminazione del governo cinese non è una novità ed esiste da molto tempo, almeno dall'occupazione cinese del Xinjiang nel 1949. Da allora le politiche di discriminazione ci sono sempre state. Ma c'è un'immensa differenza tra quello che succedeva allora e quello che succede oggi: anche all'epoca il mio pensiero era vietato, ma le conseguenze che ho dovuto affrontare sono state di gran lunga meno gravi, sono stato cacciato dall'università e messo agli arresti domiciliari, ma nel clima di oggi sarei stato ucciso. Nel 1994 ho lasciato la Cina perché la mia vita era in pericolo e ho chiesto asilo in Germania. Da quando ho lasciato il mio Paese ho esercitato i miei diritti, cercando di dare voce al mio popolo. Per questo motivo sono stato trattenuto al confine di molti Paesi e per questo ho molto sofferto».

In realtà lei è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo perché rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale cinese, giusto?

«Il governo cinese ha messo il mio nome in una lista nera nel 1997, all'epoca mi incolpavano di essere un assassino. Ma io non ho mai ucciso nemmeno un pollo, non sono un uomo coraggioso. Ma nel settembre 2011, il governo cinese ha cambiato tattica e si è dichiarato vittima di attacchi terroristici per mano di musulmani; così mi hanno incolpato di essere un terrorista».

E infatti nel 2017 non le è stato permesso di entrare nella sede del Senato italiano, cosa ricorda di quel giorno?

«È una situazione imbarazzante. Sono un cittadino tedesco e dell'Unione Europea, sono stato invitato dal senatore Luigi Compagna e mi sono trovato di fronte un plotone di agenti che mi aspettavano. Dopo avermi chiesto i documenti mi hanno portato alla stazione di polizia, dove sono stato trattenuto per oltre 4 ore trattandomi alla stregua di un criminale. Così non mi è stato permesso di entrare nel Senato italiano a causa delle pressioni e delle accuse della Cina».

Ha ancora una famiglia nel Xinjiang?

«Sì, li avevo. Ma non ho idea di quanti dei miei familiari siano ancora vivi, o morti, o nei lager. I miei genitori, i miei fratelli, mia sorella, tutti, ad eccezione dei miei due figli e di mia moglie, erano lì. Ma non ho contatti con loro dal 2017. Nel giugno 2018 ho ricevuto la notizia che mia madre era morta in un campo di concentramento. Stessa sorte è capitata nel 2020 a mio padre. Infine l'anno scorso ho ricevuto un'altra notizia straziante: mio fratello minore è stato condannato all'ergastolo e mio fratello maggiore a 70 anni».

E degli altri membri della sua famiglia?

«Ahimè non ne ho idea».

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