Mentre imperversa il dibattito sul reddito di cittadinanza, i sostegni agli indigenti e il salario minimo, la domanda centrale è: i nostri lavoratori sono davvero così poveri? Stando all'ultimo rapporto dell'Ocse la risposta è positiva. L'Italia è infatti nelle ultime posizioni nell'Eurozona per crescita dei salari medi reali dal 1990 al 2020. In questo periodo la retribuzione media nel nostro Paese è addirittura diminuita del 2,90%, posizionandosi all'ultimo posto dopo la Grecia (+6,20%). Per avere un'idea, in Francia e Germania gli stipendi sono aumentati rispettivamente del 31 e del 33%. Il dato negativo è confermato anche da un recente rapporto dell'Inps secondo cui la busta paga media di un tedesco è di circa 44mila euro e quella di un francese di 40mila euro. Scendendo la classifica troviamo ancora una volta l'Italia, con 29mila euro, e la Spagna, con 27mila euro. Stesso discorso se si confrontano i dati Eurostat dal 1997 al 2019, con l'Italia che registra una flessione del 6%, dato inferiore solo a quello della Grecia (-18%). Mentre la Germania fa +10% e la Francia +17%.
Colpa delle imprese che sfruttano i lavoratori e intascano i guadagni? Non proprio. Come si può vedere sempre dai dati Eurostat, l'Italia nello stesso periodo è il Paese europeo dove sono rimasti sostanzialmente stagnanti anche i profitti delle aziende, in proporzione ai lavoratori. La nostra crescita dal 2017 al 2019 è pari allo zero, a differenza di quella di Francia (+20) e Germania (+13). Il problema? In Italia non si è creata ricchezza da distribuire tra imprese e lavoratori. Quella che la sinistra continua a proporre di tassare fingendo di non sapere che è solo lì che si possono trovare i soldi per aumentare i salari, produrre nuova occupazione e finanziare il welfare. A questo punto conviene lasciare Ocse ed Eurostat e andare a sfogliare il recente rapporto dell'Istat sulla produttività, che è poi l'indicatore a cui inevitabilmente si agganciano gli stipendi e, più, in generale, lo stato di salute dell'economia.
Ecco, nel periodo 1995-2021 la crescita media annua della produttività del lavoro in Italia (+0,4%), si legge nel documento "è stata decisamente inferiore a quella registrata nel resto d'Europa, che si è attestata a +1,5%". Inutile dire che Francia (+1,2%) e Germania (+1,3%) hanno tenuto il ritmo del vecchio continente. La morale, come sostiene l'Inapp nel suo ultimo rapporto annuale è che non si può considerare un fattore separatamente dall'altro. Secondo il presidente dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, Sebastiano Fadda, "il Paese non può più esimersi dall'affrontare le criticità strutturali a cui risalgono i bassi livelli di produttività, le debolezze del mercato del lavoro e la qualità dell'occupazione". Insomma, tutto si tiene.
E le responsabilità sono condivise. Se i sindacati da una parte continuano ad insistere solo sul lato dei salari, disinteressandosi della produttività e anzi a volte ostacolandone la crescita opponendosi a riorganizzazioni aziendali e innovazione tecnologica che potrebbero avere ricadute sugli addetti, le imprese, dal canto loro, hanno gestito male i loro soldi. La produttività del capitale indica il grado di efficienza con cui tale fattore è utilizzato nel processo produttivo. Gli investimenti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technology, ICT) permettono di introdurre nuove tecnologie nei processi produttivi e sono considerati un importante fattore di crescita della produttività, al pari degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale, come la ricerca e sviluppo.
Ebbene, secondo l'Istat nel periodo 1995-2020 nel nostro Paese la produttività del capitale ha registrato un calo medio annuo dell'1,1%, risultante da un aumento dell'input del capitale (+1,3) superiore a quello del valore aggiunti (+0,2%). In sostanza, i soldi sono stati spesi, ma non hanno prodotto alcun aumento nel valore della produzione. Né, di conseguenza, alcun miglioramento dei livelli salariali. La soluzione? Piuttosto che continuare a dare sussidi a fondo perduto coi soldi dei contribuenti il governo dovrebbe mettersi al tavolo con imprese e lavoratori e magari farsi dare qualche consiglio dalle economie più avanzate dell’Europa: dove i capitali vengono investiti, la produttività cresce e gli stipendi pure.