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Vittorio Feltri e la segretaria: quello che vogliono uomini di un certo livello

martedì 27 dicembre 2022

8' di lettura

Vi proponiamo un articolo di Vittorio Feltri scritto negli anni Ottanta, un ritrattone dedicato alla figura della segretaria. Un mestiere che va ben oltre l’orario di ufficio e le mansioni di una semplice impiegata. Oggi come ieri.

 «Un attimo che le passo la segretaria»: se il centralinista ha risposto così, vuol dire che quello al quale hai telefonato è uno importante. Regolati. Attento a come parli anche con lei, perché da questo primo approccio dipendono gli sviluppi con lui: se le risulti simpatico, puoi andare lontano; viceversa, resti bloccato. Tra il capo e la segretaria c'è solitamente un rapporto di confidenza che sconfina nella complicità; prima di concederti udienza, loro due si consultano e, in fondo, è lei che decide. Accade così: «Dottore, c'è Tizio che la desidera». «Uffa, quel…». «Guardi che è già la terza volta che chiama, ed è sempre così gentile. Ma sì, lo riceva, in due minuti se la sbriga. E poi credo si tratti di una cosa interessante». È fatta. Ma se il dialogo è quest'altro: «Dottore, è ancora lui. Il solito, una persecuzione. Devo dire che è occupato o che è fuori?». «Faccia un po' lei, purché me lo tolga dai piedi». Sei fritto.

Ma chi sono queste segretarie, come vengono reclutate, perché diventano così importanti? E che cosa trovano in questa professione? Ancora: chi sono quelli che hanno bisogno della segretaria, e con quali criteri se la scelgono? In Italia le «signorine - bella presenza - stenodattilo – pratica ufficio» sono 600 mila. Come i carpentieri, i fanti di leva e quelli in servizio permanente effettivo. Più dei postini e dei fattorini telegrafici, più dei rappresentanti di commercio e degli iscritti all'albo dei geometri, più delle colf. È un lavoro massacrante, talvolta noioso, quasi mai ben pagato: lo stipendio varia dai 350 a 800 mila lire. Eppure una ragazzina su cinque desidera farlo, come risulta da indagini svolte nelle scuole medie, e una su dieci poi ci riesce. 

Ma c'è modo e modo di farlo, questo mestiere, come vedremo. Tutti gli uomini che abbiano raggiunto una certa posizione, ambiscono ad avere la segretaria: se non ce l'hanno, non si sentono piazzati. Indubbiamente è utile, ma soprattutto è il simbolo più evidente del prestigio. Un tempo uno si considerava arrivato se riusciva a portarsi a casa la nurse, preferibilmente svizzera, ma anche altoatesina era sufficiente; adesso le fortune professionali e i livelli sociali si misurano con le segretarie e le amanti, che tuttavia - nonostante certa letteratura d'avanspettacolo faccia opinione in merito - in non troppi casi si incarnano nelle stesse persone. Il lavoro d'ufficio viene preso seriamente e, almeno nella forma, è raro intravedere rilassamenti nel rapporto gerarchico tra prestatrice d'opera e datore fruitore di lavoro. Perché è pur vero che il Sessantotto, la contestazione globale di marcusiana memoria e l'offensiva femminista hanno travolto tutto – dalla scuola alla fabbrica, dalla famiglia ai conventi – ma non la scrivania, la moquette e la Olivetti elettrica delle segretarie. 

DEDIZIONE TOTALE
Le segretarie continuano imperterrite, nell'Ottanta come trent'anni fa, a svolgere scrupolosamente e con devota sottomissione le mansioni variegate che comporta il loro ruolo indefinito. Nello studio del «dottore» è come se l'orologio e il calendario si fossero fermati: lui ordina e lei, ubbidiente e servizievole, fa. Non soltanto in Italia: è così anche in Francia, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti, come descrive argutamente e con amara ironia Heller (quello di Comma 22) in È successo qualcosa?, romanzo ambientato fra gli scaffali di un'azienda impegnata, con i propri dipendenti, in una competizione produttiva senza requie.

Il motivo di questa immutabilità non è stato analizzato, ma probabilmente risiede nell'esasperata privatizzazione del legame che stringe la “signorina” col superiore. Egli trova comodo delegarle un crescente numero di funzioni, lei subisce, spesso quasi con piacere, sentendosi elevata al suo livello, e finisce molte volte con l'immedesimarsi nella parte al punto di diventare più padrona del padrone. A questo stadio la sua sottomissione è totale e totale è la dedizione.

Ma accade anche, inevitabilmente, che a forza di delegare il capo perda gran parte della propria autonomia, la situazione gli sfugga di mano e per prendere qualsiasi decisione abbia bisogno di consultarsi con la segretaria: senza di lei è come disorientato, non riesce ad avere sott'occhi il panorama completo dell'attività; in pratica, non è più indipendente. E così, il rapporto si rinsalda al punto che l'uno non può più fare a meno dell'altra e viceversa. Tra i due c'è come un transfert nel quale, fin che esiste unità di vedute, c'è l'esaltazione dello spirito di collaborazione che va oltre, spesso, gli aspetti burocratici. Dopo la corrispondenza, le telefonate, gli appuntamenti, le prenotazioni degli alberghi e degli aerei, la segretaria comincia ad interessarsi delle questioni sostanziali di lavoro, vi partecipa, suggerisce al capo qualche soluzione, gli dà delle idee, facendogli tuttavia credere che ogni decisione venga comunque presa da lui. In questo sta attentissima: deve manovrare con cautela e delicatezza, sapendo che il principale tiene formalmente al suo ruolo di leader, e se gli fa comodo essere pilotato, non sopporta però l'invadenza e la prevaricazione, soprattutto qualora si manifestino in presenza d'altri.

ROTTURE CASALINGHE
Lentamente, dunque, la signorina si impadronisce del campo. Eppure non le basta. Molte, dopo essersi assicurate di poter influire nella sfera professionale, si gettano alla conquista di quella privata: le vacanze, le cene non solo di lavoro, i divertimenti, il tempo libero, le confidenze. La segretaria allora diventa una specie di mamma resa più gradevole dalla verde età e dalla discrezione e da altre cose. Anche per il mal di stomaco e per il colesterolo alto, il capo si rivolge a lei la quale non chiede altro che di occuparsene. 

Ed è qui - se lui è sposato - che cominciano i guai. Le istanze di separazione e di divorzio presentate da ultraquarantacinquenni al Tribunale di Milano (ma probabilmente è così anche altrove) sono motivate da screzi coniugali derivanti da relazioni palesi o sospette con le segretarie. Le mogli intuiscono di essere tagliate fuori e le discussioni prendono il via: come mai, dicono, ne sa più quella là di me; per avere tue notizie, devo rivolgermi a lei; trascorri più tempo con lei che con me, le dedichi mille attenzioni mentre in casa sei sgarbato, nervoso, distratto, c'è sotto qualcosa, e allora vai a stare con lei. Liti, scenate. Il capo, anche se è “innocente”, finisce col gradire maggiormente l'ufficio che la casa; trova più distensiva la signorina che la moglie. «Almeno mi rispetta, non rompe le scatole, e poi è così carina, se non ci fosse lei a darmi una mano! La famiglia se ne frega dei miei problemi, loro sono buoni solo a spendere, non si domandano neppure da che parte arrivano i soldi e quanta fatica mi costino».

Secondo un sondaggio svolto da un gruppo di avvocati matrimonialisti di Boston, il 65 per cento dei dirigenti che divorziano, si risposano con la segretaria che, otto volte su dieci, ha almeno quindici anni di meno.  In Germania, un'analoga inchiesta ha dato su per giù gli stessi risultati. In Italia il gusto della statistica non è molto sviluppato e mancano dati ufficiali, ma è probabile che la situazione non sia diversa.  Ci si chiede, piuttosto, come mai le segretarie particolari siano tutte giovani e carine: quando sulla loro pelle spunta qualche ruga, spariscono. Eppure mica tutte sposeranno il principale prima che la giovinezza svanisca. Chissà, forse vengono riciclate dalle aziende, le mettono in archivio o in magazzino, si arruolano in eserciti mercenari o si fanno suore?

La realtà è molto diversa, c'è ben poco di misterioso, almeno così sembra sfogliando gli atti dell'ultimo congresso mondiale delle segretarie, svoltosi a Lugano nell'ottobre scorso e al quale parteciparono 223 rappresentanti di categoria: francesi, inglesi, olandesi, canadesi, svedesi, statunitensi e perfino africane. Succede, cioè, che la maggior parte delle signorine addette ai compiti delicati accanto ai dirigenti, dopo dieci o quindici anni di esperienza abbiano acquisito una notevole preparazione e l'azienda provveda a sistemarle in posti di maggiore responsabilità. 

Quasi sempre è il dirigente stesso che, avanzando nella scalata del potere, premia la compagna di cordata: ottenuta la promozione, il capo fa promuovere anche la segretaria. Per gratitudine. Una specie di «compartecipazione agli utili». «Signorina, - dice il leader - è giunto il momento che lei cammini da sola, non mi può seguire nel mio nuovo incarico, sarebbe sprecata. La ditta ha bisogno di affidarle mansioni più importanti. Mi mancherà molto, ma è giusto che anche lei vada avanti. Il presidente ha già deciso. Complimenti e auguri». Al congresso di Lugano, la categoria ha cercato con validi argomenti di sbiadire le connotazioni di frivolezza che le vengono attribuite in tutto il mondo, ma certe convinzioni sono difficilmente sradicabili: il copione della segretaria, secondo il pensiero corrente, resta quello offensivo delle barzellette. 

CATTIVA LETTERATURA
L'immagine evocata nella fantasia della gente dalla parola «segretaria» non è di una donna efficiente che sbriga quintali di pratiche, com'è quasi sempre nella realtà, ma di una superdotata che siede sulle ginocchia del dirigente. Questa è la mentalità, nonostante da una quindicina d'anni le signorine in questione esordiscano nel mondo del lavoro dopo aver conseguito regolare diploma di scuola media superiore: segretaria d'azienda, appunto. Un corso di studi che comporta sforzi non inferiori a quelli sostenuti dagli studenti dei licei o degli istituti tecnici, e una preparazione tutt'altro che trascurabile. Probabilmente l'offensivo modello della segretaria-oggetto, oltre ad essere alimentato dalla cattiva letteratura e da un certo cinema (ricordate La segretaria privata con Elsa Merlini?), è sostenuto dall'invidia che in ogni azienda circonda chiunque gode del privilegio di stare gomito a gomito con i megadirigenti-supergalattici. Se poi questo “chiunque” è una donna, figurati se gli emarginati non la buttano sul sesso per sminuire meriti e capacità. Ma guarda che sa tre lingue! Certo, le ha imparate sul kamasutra. E la ragazza è subito liquidata con questa battuta di pessimo gusto.

L'incidenza dell'affetto nella carriera delle segretarie può essere forse maggiore che in altre categorie, ma fino a un certo punto, oltre il quale non è sufficiente, benché sia opinione diffusa che vadano avanti soltanto i raccomandati del ministro e del materasso. D'altra parte l'amore aziendale non coinvolge esclusivamente le altre gerarchie: negli Stati Uniti il quindici per cento dei matrimoni avviene tra colleghi. 
Da noi probabilmente sarà lo stesso, ed è logico visto che una persona regolarmente occupata vive la maggior parte del suo tempo sul posto di lavoro, e dopo aver timbrato il cartellino all'uscita non ha molta voglia né molte possibilità di dedicarsi a relazioni umane, specialmente nelle metropoli industrializzate dove l'unico svago poco pericoloso e alla portata degli stipendi “inflaziopatici” è la televisione a colori. I flirt da spettabile ditta sbocciano quindi in presidenza e in direzione quanto all'ufficio paghe e contributi e senza distinzioni di qualifica.

FREQUENTAZIONE
Più che il richiamo estetico incide l'assidua frequentazione: dopo tre anni di convivenza giornaliera nella stessa stanza, un naso troppo lungo, caviglie troppo grosse e addirittura una gobbetta possono trasformarsi da deterrenti in eccitanti. I difetti fisici colpiscono a prima vista, poi ci sia abitua, si sorvola. Si scoprono altre qualità. Per fortuna. 

Certo è che il direttore generale, avendo esigenze decorative per il suo studio, a prescindere dalle inclinazioni personali, punta subito sulla bella ragazza. Di qui le più basse insinuazioni che tanto addolorano le segretarie. Nonostante tutto, però, la categoria si affoltisce, la scrivania dell'olimpo aziendale, negli anni Ottanta ha più fascino che non il sedile accanto al pilota del jet. 

Dieci anni fa le ragazze sognavano di fare le hostess; le nuove leve hanno capito che l'aereo non è altro che un torpedone con le ali, e che servire il caffè a ottomila metri di quota non è in concreto molto diverso che servirlo in trattoria, sicché preferiscono camminare con i piedi per terra che volare. In fondo dimostrano di avere coraggio. Adesso anche i dirigenti devono dimostrare di averne, assumendo alle loro dipendenze signore anziane, presbiti e un po' artritiche. E con le vene varicose.

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