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Luca Ciriani rivela: "Cosa faremo nel 2023", il piano del governo

di Fausto Carioti martedì 3 gennaio 2023

5' di lettura

Prima di preoccuparsi per il ritorno del Covid, il pordenonese Luca Ciriani, classe 1967, senatore di Fdi e ministro per i rapporti con il Parlamento, vuole capire cosa farà la Ue. «Preoccuparsi è giusto quando ci sono i motivi per farlo. Il governo ha la guardia alta e il ministro Schillaci ha risposto con prontezza al primo accenno di emergenza, varando un provvedimento e riferendo al parlamento. È necessario però che anche gli altri Paesi europei facciano la loro parte. E serve un coordinamento a Bruxelles, senza il quale ogni cosa che facciamo noi qui rischia di essere poco efficace».

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Il governo si è insediato a fine ottobre e da allora ha corso per far approvare la manovra e rispettare le scadenze del Pnrr. Ora inizia una fase molto diversa, potrete avviare un percorso di riforme importante. Da dove cominciate?
«Ci attende la trasformazione del nostro programma in atti di governo, un lavoro enorme. A gennaio la nostra priorità è avviare le riforme istituzionali: quella della forma di governo, individuando la soluzione migliore per dare stabilità politica al Paese, e quella delle autonomie regionali. E spero che già a febbraio ci possa essere un primo testo della riforma fiscale. Intanto, ricordo, abbiamo iniziato a lavorare alla riforma del codice degli appalti».

La riforma fiscale costa e i soldi sono pochi. Cosa debbono attendersi i contribuenti da quel testo?
«La finanziaria che abbiamo appena approvato è stata condizionata dall'emergenza bollette, che ha vincolato due terzi degli stanziamenti. Abbiamo quindi potuto solo accennare ciò che intendiamo fare nel corso della legislatura. Lo abbiamo fatto scegliendo di dare un segnale al mondo dell'impresa e dei lavoratori autonomi, quindi a chi crea ricchezza.
Adesso, un po' alla volta, ci impegniamo ad abbassare le tasse. Insisteremo sull'abbattimento del cuneo fiscale e sulla logica dei premi per le aziende che assumono. Su questo intendiamo investire moltissimo».

Pare di capire che l'ulteriore taglio del cuneo fiscale viene prima dell'estensione della flat tax: è così?
«Noi contiamo di fare tutto, ma per riuscirci occorreranno cinque anni e soprattutto un quadro economico diverso da quello attuale. Oggi la priorità è il cuneo fiscale».

L'introduzione di una forma di presidenzialismo marcerà di pari passo con la riforma costituzionale della giustizia, che prevede la separazione delle carriere?
«Sì, a questa sta lavorando molto bene il ministro Nordio. La cose da fare sono tantissime e intrecciate tra loro: per dare un assetto moderno all'Italia c'è bisogno di una riforma complessiva, che il governo Draghi ha solo accennato. Si tratta di tenere insieme la riforma delle autonomie regionali, che si può fare a Costituzione invariata, la riforma per dare stabilità ai governi, della quale c'è assoluto bisogno, e la riforma della giustizia».

Carlo Calenda e Matteo Renzi hanno lanciato segnali di disponibilità sulla riforma istituzionale e la separazione delle carriere dei magistrati. Quanto è importante per voi trovare un accordo con loro?
«È buona prassi che le riforme di questa portata si facciano insieme. Noi non abbiamo intenzione di fare forzature, anzi vorremmo che le nostre riforme costituzionali, una volta approvate, passassero comunque il vaglio del giudizio popolare, tramite referendum confermativo. Un Paese che funziona meglio, ha governi stabili e una giustizia i cui tempi non sono quelli di adesso, è nell'interesse di tutti. Per questo spero che contribuiscano non solo Calenda e Renzi, ma tutti i partiti dell'opposizione. A patto che la loro partecipazione non si riveli un alibi per impedire le riforme».

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Il 2023 sarà l'anno del nuovo segretario del Pd. Cosa vi aspettate da lui in materia di riforme?
«Dipendesse da quello che ho visto in parlamento, anche negli ultimi giorni dell'anno, dovrei risponderle di non avere nessuna aspettativa sui democratici. Sinora il Pd ha solo saputo dire "no" a tutto ed evocare il fantasma dell'autoritarismo, non si è mostrato interessato ad alcun dialogo. Vedo da quelle parti molta frustrazione e molta rabbia. Detto questo, se dal loro congresso uscirà qualche novità, l'accoglieremo molto volentieri».

Preferenze per il risultato?
«Potessi puntare un euro lo metterei su Stefano Bonaccini, che mi pare anche il candidato più strutturato, quello più capace di gestire un rapporto con la maggioranza che non sia finto e provocatorio».

Il suo collega Guido Crosetto sostiene che c'è «un problema di classe parlamentare: come è avvenuto nel 2018 per i Cinque Stelle, si è pagata un po' di inesperienza». La pensa così anche lei? I parlamentari della maggioranza sono inesperti?
«Nessuno è perfetto, per carità, e qualche errore l'avremo fatto. Ma credo debba essere riconosciuto che in due mesi questa classe parlamentare ha fatto un lavoro gigantesco, lavorando in condizioni da far tremare i polsi. Abbiamo portato a casa una finanziaria prima di quanto avesse fatto il "governo dei migliori", lo spread è sotto controllo, le istituzioni internazionali hanno riconosciuto l'impegno del governo e di chi lo guida, il prezzo del gas sta addirittura tornando ai livelli ante-guerra. Tre mesi fa nessuno avrebbe scommesso una lira su tutto questo. Il merito è soprattutto del presidente Meloni, ma queste cose non si fanno da soli».

Che idea si è fatto del Qatargate? Il problema è limitato agli eurodeputati socialisti o riguarda l'intera istituzione del parlamento europeo, che si è dimostrata permeabile alla corruzione?

«Non so dire con certezza se quello che si è visto sinora sia solo la punta dell'iceberg e sotto ci sia molto di più, come tutto lascia credere. Di certo l'immagine del Partito socialista europeo e della sinistra italiana ne esce a pezzi. Ma il parlamento europeo deve fare un'autoanalisi e ristrutturarsi al più presto, se non vuole vedere la propria credibilità azzerata. Altrimenti gli europei penseranno che ciò che si decide a Bruxelles o a Strasburgo non è la volontà dei cittadini, ma quella delle lobby che hanno i soldi per imporla».

E in Italia come siamo messi? Le leggi sui rapporti tra parlamentari e lobbisti sono sufficienti ad impedire certi fenomeni o volete dare un giro di vite?

«Guardi, io non credo che il problema possa essere risolto con le leggi, vecchie o nuove che siano. Alla fine, tutto dipende dalla moralità dei parlamentari. Per come la vedo io, se una persona è per bene, non c'è lobbista che tenga, e se una persona è per male, non c'è legge che possa renderla migliore. Bisogna lavorare sulla qualità delle persone, perché è l'unico strumento che ci può mettere in sicurezza. Il moltiplicarsi delle leggi e dei controlli non evita la corruzione e spesso, purtroppo, finisce addirittura per favorirla».

Il Qatargate ha spinto la sinistra a chiedere il ritorno del finanziamento pubblico dei partiti, ritenuto la cura migliore contro la corruzione. Per reintrodurlo il Pd ha già presentato un disegno di legge in Senato. Anche voi credete che la corruzione si possa combattere così?

«Noi, come Fratelli d'Italia, siamo la dimostrazione che un partito nato senza un soldo, senza una sede, senza una struttura parlamentare, può portare in pochi anni il proprio consenso dal 3 al 30%. Il problema dei partiti, quindi, non è il loro finanziamento, mala qualità della loro classe dirigente e dei loro valori. La legge attuale, che destina ai partiti il 2 per mille dell'Irpef, funziona bene, ed è su questa che bisogna insistere. Altro non serve».

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