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Centrodestra, il voto agita la maggioranza: tensioni? No, solo tattica

di Pietro Senaldi domenica 15 gennaio 2023

4' di lettura

I commentatori di sinistra, che sono più o meno l'unica cosa al momento rimasta della sinistra, atteso lo stato comatoso del Pd, sono in sollucchero. Devono accontentarsi, poverini, perciò fanno di ogni fiammella un rogo. Alludiamo ai litigi interni al centrodestra legati alla mancata proroga dello sconto sulla benzina, deciso e rivendicato da Giorgia Meloni, d'accordo con il ministro dell'Economia, il leghista Giorgetti, ma alquanto criticato dalla componente forzista della maggioranza e contestato pubblicamente anche da più di un salviniano.


C'è stato poi il discorso di Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio in Senato, che nell'annunciare il voto a favore dell'invio di altre armi in Ucraina, ha fatto sapere che comunque questa guerra sarebbe meglio che finisse. E ancora è arrivato anche un aumento dell'intensità dei mal di pancia azzurri, con la discesa in campo del più critico della compagnia nei confronti della premier, l'ex sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, il quale si è confidato con l'organo di stampa più antigovernativo dopo Repubblica, ovverosia il Foglio, per far trapelare che la Meloni sarebbe un pelo logorroica.


La signora ha mangiato la foglia, così è circolata una direttiva nella quale la leader chiede ai parlamentari di Fratelli d'Italia di passare dall'ufficio stampa del partito prima di rilasciare dichiarazioni pepate. Segno che ci tiene a non far salire sopra il livello di guardia la temperatura dei rapporti all'interno della maggioranza. Notizia positiva è pure che di fatto l'allarme benzina si è spompato, con il prezzo che ha smesso di salire e anzi si prevede in discesa, così come sperava l'esecutivo quando si decise a tagliare i costosi sconti - un miliardo al mese - varati da Draghi. A un mese dal voto per scegliere i governatori di Lombardia e Lazio è vitale capire quanto queste polemiche interne alla maggioranza nascondano divisioni profonde e quanto invece siano fisiologiche a una dialettica tra forze diverse. La risposta sta nella premessa. Il 12 e 13 febbraio è chiamato alle urne un quarto degli elettori italiani e, nel circolo perverso in cui da decenni si perde la politica, l'appuntamento è caricato di significati superiori a quanti non ne abbia realisticamente.


GLI SCONTENTI
È un dato di fatto che il centrodestra sia uscito sbilanciato dalle elezioni del 25 settembre scorso, con Fdi che, da solo, vale circa il doppio degli alleati forza-leghisti. Berlusconi ha recuperato rispetto ai sondaggi, masi sarebbe aspettato di più per il suo sforzo in campagna elettorale, dal quale era sempre stato abituato a essere ripagato generosamente. Salvini si attendeva un paio di punti percentuali in più, per consolidare la propria leadership. Ha ottenuto una truppa parlamentare numerosa e fedele, ma è consapevole di dover lavorare tanto e bene al governo e al suo ministero per risalire alle cifre di periodi migliori. Nei tre mesi successivi al voto, la situazione si è fatta ancora più difficile da gestire, con Fdi salita nei sondaggi di cinque punti, Forza Italia basculante, prima in calo per le polemiche seguite alla formazione del governo, quindi in ripresa, e la Lega in leggero miglioramento, grazie anche all'attivismo del suo leader. Naturale che i tre partiti si marchino stretti in vista delle Regionali, dove saranno insieme nel sostenere il candidato del centrodestra alla presidenza, ma saranno pure l'uno contro l'altro, perché ci sono voti di lista e preferenze, che misureranno le loro reali forze.


IL PARTITO UNICO
Insomma, più che alle divergenza alla pompa di benzina, i litigi nella maggioranza sarebbero da riportare a una campagna elettorale anticipata che vede i partiti del centrodestra in concorrenza tra loro. È sul piatto il tema lanciato da Berlusconi nell'intervista di inizio anno a Libero, dove il leader azzurro proponeva un unico partito conservatore. Fdi ha risposto prendendo tempo, perché molti tra le file della Meloni accarezzano il sogno di trasformare il proprio nell'unico nel grande partito conservatore, con gli alleati in posizione subalterna. Il Cavaliere ha rilanciato, ricordando che il partito unico è stato sempre il suo sogno, fin dai tempi del Pdl, il Popolo delle Libertà, fallito perché imposto dall'alto, mentre stavolta nascerebbe non da un'annessione ma da un accordo. E la Lega sta alla finestra.


Tutti e tre i leader vivono il voto regionale come un test. Si può capirli. Poiché alle urne manca soltanto un mese, si può anche sopportarlo, anche se è avvilente per gli elettori assistere a un centrodestra finalmente al governo e graziato dalla mancanza di un'opposizione credibile, che si perde in battibecchi malgrado ci siano cose più importanti da fare. Sarebbe però suicida se, indipendentemente da chi saranno i vincitori e i vinti del prossimo giro elettorale, già da marzo i partiti della maggioranza ricominciassero a curare i rispettivi distinguo più del lavoro comune, subordinando le loro mosse alle Europee del 2024, appuntamento chiave, che richiama al voto tutto il Paese e occasione ulteriore per regolare i rapporti di forza.
I rapporti di forza tra i partiti per definizione non sono mai stabili e fare politica inseguendo equilibri futuri fa inciampare piuttosto che garantire stabilità. Una volta al potere, il centrodestra non prenda i vizi che hanno fatto crollare la sinistra.

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