Se non puoi batterli, gufa contro di loro. La sinistra e i Cinque Stelle non riescono a darsi pace che l’Italia possa tirare avanti malgrado al governo ci sia il centrodestra. E così va in scena la macumba dei premier, sgambettati, falliti e mancati, Romano Prodi, Giuseppe Conte e Pier Luigi Bersani si sono cimentati nella medesima impresa: profetizzare la fine del governo.
Fossi in Giorgia Meloni, non starei tranquillo, visto che i suddetti sono specializzati in fallimenti Ad aprire le danze è stato Romano Prodi: «Non c’è ancora l’ira ma ci sono tutte le condizioni. L’aumento del costo della vita rispetto al costo salariale. Ed è visibile già un altro aspetto: la diminuzione del risparmio che finora non preoccupa tanto ma dà l’idea. Siamo di fronte a dati che denotano un disagio molto forte».
PRIMA SENTENZA
Questa la sentenza emessa dall’ex leader ulivista a margine della presentazione del libro L’ira del riformista, di Giulio Santagata, alla libreria Rizzoli di Milano. Insomma, ancora la rivolta non c'è, ma la speranza è forte. Dopo aver dato per due volte cattivo esempio, il politico ripetutamente mandato a casa dalle divisioni della sinistra non ha mancato poi di dispensare buoni consigli al Pd per cercare di arginare l’ondata del centrodestra.
Dopo di lui, è venuto il turno di Bersani, che si è presentato a Otto e Mezzo da Lilli Gruber nei panni del “figlio di un benzinaio”; non a caso lo sciopero, che faceva tremare il governo, è poi fallito. Anche qui lo stesso copione: prima il messaggio di fumo per assicurarsi un ritorno in pista nel Pd e poi la gufata sul governo del centrodestra: «Sa quando finirà la luna di miele della Meloni?», ha affermato l’ex segretario del Pd, i cui sogni di gloria furono cancellati da una semplice spazzata di sedia di Berlusconi, in diretta tv da Santoro. «Finirà quando M5s e Pd decideranno di fare una sola cosa, qualunque essa sia che abbia il sapore dell’opposizione. Ne sono sicuro».
Qui, insieme alla maschera del gufo c’è anche quella del maestrino che dà lezioni a sinistra su come rimettere in piedi la Ditta, dal quale Pier Luigi fu costretto ad allontanarsi prima di essere messo alla porta. Una speranza mascherata da fantasia, visto come brancolano nel buio al Nazareno.
Terzo in ordine di tempo, e di autorevolezza, Giuseppe Conte. Il leader dei Cinque Stelle, ringalluzzito per aver fatto fuori Di Maio e aver portato i Cinquestelle al 15 per cento (con sei milioni di voti persi per strada), ha pontificato con chioma pettinata in modo impeccabile davanti alle telecamere di DiMartedì, dove ha regalato uno show, profetizzando disastri, tensioni sociali, rivolte e lunghissime code ai distributori di benzina. Il tono è stato di quelli enfatici, mirati a seminare panico: «Si sta creando una situazione esplosiva. Tutte le famiglie sono in coda dal benzinaio, le persone sono preoccupate per questo caro bollette, caro energia, caro benzina». Poi ha aggiunto con immutato livore: «Sul Mes Giorgia Meloni si giocherà la faccia. Aveva dichiarato che era un’euro-follia, mi ha accusato di alto tradimento. State tranquilli, voterà anche il Mes: perderà definitivamente la faccia».
VOLI DI FANTASIA
Di certo Conte gioca la sua partita, quella dell'opposizione che di fatto, a corto di idee e di proposte, cerca di infangare l’avversario nemmeno su quello che accade, ma addirittura su quello che potrebbe accadere. Viaggi nel futuro che incitano, va detto chiaramente, alla sommossa. Qualcuno dovrebbe però spiegargli che lui è stato il solo premier al mondo mandato a casa in piena pandemia per l’incapacità di arginare il virus e vaccinare le persone. Un cambio in corsa che ci liberasse del premier in pochette, con tutte le incognite legate alla situazione drammatica che il Paese viveva, è parso comunque il minore dei rischi. La sensazione è che finché la sinistra si affiderà al canto funebre di questi tre tenori del lutto, il centrodestra al governo avrà lunga vita.