messina denaro
“Mi piace moltissimo il tono trionfalistico nell’aver arrestato uno che faceva il latitante da trent’anni a venti metri da casa sua. Che grande colpo”; “era tranquillamente a Palermo sotto il naso di tutti”; “il tono trionfalistico suona grottesco. Penso che ogni persona di buon senso si ponga molti interrogativi”: questi sono solo alcuni dei commenti comparsi sui social (anche della sinistra) il giorno della cattura di Matteo Messina Denaro. A sorprendere il fatto che il boss mafioso sia stato preso nella sua Sicilia. Peccato, però, che non ci sia nulla di cui meravigliarsi. La rete di protezione locale ha fatto sì che tanti altri prima di lui siano riusciti a vivere da latitanti nella propria terra, “sotto il naso di tutti”, per tanto tempo. Queste affermazioni, tra l’altro, mettono in discussione anche il lavoro delle forze dell’ordine, da anni sulle tracce di Messina Denaro.
Tornando ai precedenti, sono parecchi i boss mafiosi presa nell’isola siciliana nel corso del tempo. Basti pensare a Nitto Santapaola, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Pietro Aglieri, Bernardo Provenzano, Totò Riina. Il primo venne arrestato nel 1993 in un casolare nelle campagne di Mazzarrone, in provincia di Catania, dopo undici anni di latitanza. Brusca, invece, fu fermato in via Papillon, contrada Cannatello, una frazione di Agrigento, dove un fiancheggiatore gli aveva messo a disposizione un villino. Per quanto riguarda Bagarella, fu arrestato dalla Dia il 24 giugno 1995 in una via affollata di Palermo che collega la Stazione Centrale al campus universitario. Ancora, Aglieri fu arrestato nel suo covo a Bagheria il 6 giugno del 1997. Provenzano, poi, fu preso l’11 aprile 2006 in una masseria a Corleone dopo una latitanza durata ben 43 anni. Riina, infine, venne arrestato poco distante dal suo covo, una villa con palme nel centro di Palermo. Era lì che aveva trascorso venticinque anni di latitanza. Di esempi, insomma, ce ne sono. Poche le eccezioni, come nel caso dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, arrestati a Milano, e di Piddu Madonia, fermato a Ponte di Costozza.
Perché allora i boss o comunque gli esponenti più importanti della mafia decidono di restare nella loro Sicilia durante la latitanza? Lo ha spiegato qualche giorno fa al Corriere della Sera Teo Luzi, il comandante generale dei carabinieri che ha messo fine alla latitanza del boss ricercato per trent’anni: “Le nostre ricerche si sono sempre concentrate in Sicilia, eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile”. A rendere possibile la loro permanenza nella loro isola, insomma, è quasi sempre una rete di protezione difficile da sbrogliare. Enzo Ciconte, esperto di storia delle organizzazioni criminali, al Post ha detto: “Se Matteo Messina Denaro fosse stato altrove, lontano dalla Sicilia, qualcuno lo avrebbe notato e segnalato. Ogni inserimento in una comunità diversa dalla propria comporta anomalie che attirano curiosità. A dieci chilometri dal suo paese, qualcuno certo lo avrà notato ma ha fatto finta di niente”.
Ma non è tutto qui. Perché quasi sempre c’entra anche la questione dell’onore e del prestigio. Per essere un capo vero, infatti, è preferibile che il latitante resti nel proprio territorio, vicino al suo luogo d’origine. L’obiettivo del boss latitante non è perdere potere, ovviamente, ma rafforzarlo. Soprattutto nella propria zona d’influenza. Il suo potrebbe essere letto anche come un segnale di vicinanza e di sacrificio nei confronti degli altri membri dell’organizzazione criminale: una sorta di dimostrazione della propria forza e del proprio coraggio nel rischiare la libertà pur di rimanere lì.
A chi in questi giorni ha criticato l'esultanza per la cattura del boss avvenuta a Palermo, a due passi da casa sua, bisognerebbe spiegare che spesso il nascondiglio vicino a casa non rende più facile la ricerca e poi l’arresto. Il latitante che rimane nel proprio territorio, infatti, si sposta poco – lo fanno per lui i suoi complici - e soprattutto può contare su persone di fiducia che difficilmente lo tradiranno. Godendo così di una protezione quasi totale.
Ne ha parlato subito dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro anche il presidente del Senato Ignazio La Russa. Ospite di Controcorrente su Rete 4, ha affermato: “Sappiamo per esperienza che i latitanti possono sopravvivere nel loro ambiente, dove hanno amicizie e omertà. Ha detto bene Giorgia Meloni: dobbiamo individuare chi ha reso possibile una latitanza così lunga".