Ignazio La Russa
Giuro di aver pensato che ci fosse stata anche qualche manina di Calenda et similia tra i grandi elettori di Ignazio La Russa presidente del Senato. Ma come gli capita spesso, il leader di Azione – a cui Matteo Renzi fa credere di comandare nell’alleanza con Italia Viva – va in confusione. E a volte in maniera davvero cafona. Perché non riesce proprio a smetterla nella sua personalissima distribuzione di patenti. Manco fosse il titolare di un’autoscuola. E ieri è toccato ad Ignazio, raro esponente di una politica che racconta la verità su stessa, che non si nasconde e che conosce bene lo scorrere del tempo. È che a poche ore dalle elezioni ogni polemica è caratterizzata dal fascismo, anche se è nato cento anni fa e finito ottanta anni addietro.
RIMPROVERO GREVE
Calenda ha ancora il torcicollo rivolto al passato e rimprovera in maniera greve La Russa perché – alla commemorazione di Pinuccio Tatarella – ha ricordato quel busto del Duce che ha in casa, regalo di suo padre senatore missino, e che non ha alcuna intenzione di scaraventare dalla finestra. Da Azione partiranno guardie neorosse per sequestrarglielo? Dice con garbo il presidente del Senato: «Scusatemi se parlo di me. Sono sempre dipinto come quello che ha i busti del Duce, è vero ce l’ho, me lo ha lasciato mio padre, non capisco perché dovrei buttarlo... Non lo butterò mai, così come non butterei il busto di Mao Zedong se mi avessero lasciato un’opera d’arte sua... Scusatemi ancora per questa parentesi personale, che volevo assolutamente esternare...». Apriti cielo. Il partigiano de’ noantri, Carlo Calenda, ha sentito l’obbligo di far sapere al mondo le sue parole contro l’inquilino numero uno di Palazzo Madama. Su Twitter, sguaiatamente. Perché senza like Calenda non saprebbe vivere: no, il busto no.
«Perché ha collaborato allo sterminio degli ebrei, perché ha fatto uccidere gli oppositori e bastonare lavoratori. E tu non sei cinese. Sei italiano. Patria del delinquente. E Presidente del Senato. E se non capisci perché devi buttare il busto di Mussolini non meriti di esserlo». La butta davvero in caciara, il signorotto che insulta a singhiozzo. Proprio non capisce, Calenda, che ci sono molti italiani che la pensano diversamente da lui. E altri, che magari non sono lontani dal suo “pensiero” sul fascismo, che mostrano una tolleranza molto più democratica della sua. E sanno che nessuno vuole una dittatura in Italia. Magari pacificazione, che Calenda evidentemente non comprende che cosa voglia dire. Perché un busto è un ricordo e non un pericolo. Perché in tutte le stagioni della storia esistono luci e ombre. Pensi, Calenda, che c’è chi ha paragonato ad una dittatura persino gli anni del Covid e non tollererebbe sicuramente i busti di Giuseppe Conte e Mario Draghi nelle mura di casa propria. Erano lavoratori anche quelli lasciati senza stipendio perché erano senza vaccino. Alla fame.
LA FURIA DI CARLO
E poi, che facciamo, Carle’? Buttiamo giù anche città e palazzi solo perché a volerli edificare fu Benito Mussolini? Incamminarsi sulle orme di Laura Boldrini, che invece da presidente della Camera sognava l’impossibile abbattimento del Foro Italico – quello dove c’è scritto Mussolini Dux se dalle parti di Azione non lo sanno – non è un buon viatico per atteggiarsi a moderato. Ma anche ieri serviva la mala azione quotidiana di Calenda, che nell’impresa di voler criticare tutti alla fine attaccherà anche se stesso. In fondo i suoi modi spicci non piacciono proprio a tutti: magari un giorno, La Russa gli darà del fascista in Senato. E lui si arrovellerà su Twitter: insulto o complimento?