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Reddito di cittadinanza, il ministro Calderone: "Come lo sostituiremo"

di Fausto Carioti lunedì 20 febbraio 2023

6' di lettura

Il futuro delle politiche per l’occupazione e delle pensioni degli italiani è nelle mani della sarda Marina Elvira Calderone, uno dei pochi ministri tecnici del governo Meloni. Scelta perché, dopo diciassette anni da presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, conosce la legislazione e i problemi della materia come pochi altri in Italia.

Partiamo dalla riforma delle pensioni, ministro. È sul suo tavolo da qualche tempo e l’impressione è che ci resterà a lungo. Cosa state facendo? Quali obiettivi avete?
«In realtà vogliamo muoverci con tempestività, ma senza tralasciare gli approfondimenti e le operazioni di raccordo imposti da un riassetto complessivo del sistema. Abbiamo avviato un tavolo di confronto con le parti sociali e cominciato a riflettere sul riordino della materia, facendo anche delle valutazioni attuariali, ovvero quei calcoli che stimano l’impatto sulle finanze dello Stato, nel medio-lungo periodo, di una serie di misure. Il nostro obiettivo è rendere finanziariamente sostenibili gli interventi che faremo. La spesa pensionistica deve essere monitorata, non possiamo scaricare nuovo debito sulla fiscalità generale né sulle nuove generazioni».

Il nodo più importante riguarda la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. Lei ha incontrato una delegazione del movimento “Opzione Donna”, che chiede di mantenere per le lavoratrici le possibilità di pensionamento introdotte nel 2004, poi stravolte con l’innalzamento dell’età pensionabile dalla riforma Fornero e altri interventi. Cosa devono attendersi da lei le donne che lavorano?
«Ho compreso la necessità di ampliare la platea delle destinatarie dell’anticipo pensionistico. La revisione della misura contenuta nella manovra 2023 ha bisogno di adeguate coperture finanziarie, che sono allo studio del ministero dell’Economia e per le quali c’è la disponibilità del ministero del Lavoro a contribuire, in parte, con fondi del proprio bilancio. In ogni caso è partito un confronto che continuerà nel tempo, perché “Opzione Donna” pone una questione molto più ampia sull’accesso al pensionamento da parte delle donne, la cui carriera contributiva è diversa da quella degli uomini».

Veniamo al reddito di cittadinanza. Avevate promesso di intensificare i controlli sui percettori dell’assegno “occupabili” dai 18 ai 59 anni, che dovrebbero perdere il sussidio se non rispettano l’obbligo di frequenza. Lo avete fatto?
«L’obbligo di formazione per i percettori di reddito di cittadinanza era già previsto dalla legge 4 del 2019, ma si era incagliato nella mancanza di infrastrutture e nel ritardo nel potenziamento dei centri per l’impiego. Noi abbiamo avviato una revisione delle modalità di presa in carico e avviamento alla formazione. Ora i controlli sono continui e costanti. Il risultato è che nel mese di gennaio sono state respinte 46.250 domande, revocate 7.986 prestazioni, poste in decadenza 14.769 pratiche».

Quanti dei percettori stanno seguendo il programma di formazione e riqualificazione?
«Il programma denominato “Garanzia occupazione lavoro” ha già preso in carico, attraverso i Centri per l’impiego, 198mila percettori del reddito, e li ha instradati verso percorsi di inserimento lavorativo e di aggiornamento o riqualificazione delle competenze. Si tratta di circa due terzi del totale dei percettori convocati e che hanno aderito al programma. Sono oltre 47mila, invece, i fruitori del reddito per cui è stata individuata e concordata un’attività formativa da svolgere. Questi numeri cresceranno rapidamente: oltre 161mila beneficiari, cioè l’81%, potranno iniziare l’attività formativa perché sono stati aggiudicati, o sono in via di aggiudicazione, gli avvisi per l’attività di formazione che le Regioni hanno pubblicato avvalendosi delle risorse di “Garanzia occupazione lavoro”».

Il reddito di cittadinanza potrà essere erogato per soli sette mesi nel 2023. Dal 2024 entrerà in vigore un nuovo strumento perla “inclusione attiva”. Che caratteristiche avrà?
«Intanto il reddito di cittadinanza, per come lo conosciamo, sarà erogato per sette mesi nel corso del 2023 solo per i cosiddetti “occupabili”. Per coloro che invece non lo sono - i cosiddetti “lavoratori fragili” - la tutela andrà oltre il 2023, con nuovi presupposti e meccanismi di funzionamento. Quanto alla nuova misura a cui stiamo lavorando, prevede il coinvolgimento di Regioni, Province autonome e Comuni nella programmazione e gestione dei servizi per l’inclusione attiva, e si baserà su criteri molto diversi da quelli del reddito di cittadinanza».

Quali saranno le differenze?
«Il nuovo strumento avrà quattro elementi cardine. Il primo: una profilazione più coerente per indirizzare i soggetti alle politiche attive, anche utilizzando nuovi strumenti digitali. Il secondo: chi entra nel perimetro della misura avrà l’obbligo di partecipare a queste politiche attive. Dobbiamo evitare l’esperienza del passato, quando 600mila persone hanno percepito un reddito senza passare mai per un Centro per l’impiego. Terzo elemento: rafforzeremo le politiche attive. Quelle del futuro si baseranno su formazione, sostegno nei percorsi di autoimpiego/lavoro autonomo e incentivi all’occupazione per velocizzare l’ingresso nel mondo del lavoro. Quarto: il nuovo strumento sarà anche una misura di “ultima istanza” per chi è in condizione di estrema fragilità e dovrà essere preso in carico dai servizi sociali dei Comuni».

I costi saranno gli stessi, pari a circa 9 miliardi di euro l’anno?
«Non è un problema di budget, ma di efficacia della misura. Sulla legge di bilancio, peraltro, è previsto che gli eventuali risparmi vengano destinati a un fondo, riutilizzabile a sostegno delle politiche del lavoro. E sono disponibili i fondi comunitari per la lotta alla povertà e per le politiche attive, che negli ultimi sette anni non sono stati spesi».

Resta il fatto che dal primo agosto circa 600mila percettori di reddito di cittadinanza perderanno l’assegno, e almeno sino al gennaio del 2024 è previsto che non ottengano nulla. Non temete proteste, soprattutto al Sud, dove questo beneficio è più diffuso?
«La linea di demarcazione non è così netta. La manovra prevede sette mesi di sussidio da spalmare nel 2023, quindi l’uscita dal reddito sarà progressiva nel tempo. Il punto è cosa sarà dato al posto del reddito di cittadinanza: politiche attive e di accompagnamento al lavoro più rispondenti alle esigenze del mercato. Il bollettino Excelsior stima per febbraio 178mila lavoratori di difficile reperimento. È un fenomeno che interessa anche il Sud e che è in cima alle priorità occupazionali delle nostre misure».

Sul suo tavolo c’è anche il dossier dei contratti a termine. Il “decreto Dignità” del governo Conte ha limitato la durata massima di quelli senza causale a dodici mesi e ha disciplinato in modo molto rigido le causali delle assunzioni di durata superiore, che comunque non potranno eccedere i ventiquattro mesi. Ora voi volete cambiare le cose. Come? Interverrete sulle causali? Allungherete la durata dei contratti a termine?
«Non vogliamo e non potremmo farlo: la durata massima dei contratti a termine è fissata dalla direttiva Ue 1999/70. Urgente, e necessaria, ci appare invece la modifica del regime delle causali. Quelle introdotte dal decreto Dignità sono di complessa applicazione e rendono difficile il ricorso al contratto a termine anche per esigenze genuine. Servono causali che rappresentino un argine efficace agli abusi e garantiscano corrispondenza alle esigenze delle aziende: le individueremo assegnando un ruolo centrale alla contrattazione collettiva».

Una delle poche cose su cui le opposizioni concordano è l’introduzione del salario minimo. Il governo non sembra pensarla allo stesso modo, ma è innegabile che in Italia ci sia un problema di salari bassi. Come pensate di risolverlo?
«Il problema della garanzia e della tenuta del potere di acquisto dei salari non è una preoccupazione esclusiva delle opposizioni: è l’articolo 36 della Costituzione a ricordarcelo. E il percorso verso un salario in grado di dare a tutti i lavoratori e alle loro famiglie “un’esistenza libera e dignitosa” deve necessariamente passare dalla contrattazione collettiva di qualità, da strumenti che ne potenzino l’efficacia e da relazioni industriali che consentano adattabilità costante alle esigenze del mercato e, insieme, tutela degli interessi dei lavoratori». 

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