Sfogliando i quotidiani di ieri pareva che con l’arrivo di Giorgia Meloni in Ucraina l’Italia fosse entrata in guerra. Contro l’Ucraina. Certo, neppure i più audaci professionisti della mistificazione, ad oggi, trovano appigli per poter mettere in discussione l'atlantismo del premier, da lei ribadito fino alla noia in primis per convinzione e in subordine per prevenire accuse di putinismo un tanto al chilo. E insomma, preso atto del fatto che Italia e Meloni stanno con Zelensky, si puntano i riflettori su elementi certo significativi, ma periferici rispetto alla sostanza.
La sostanza sta in queste frasi: «Siamo stati dalla vostra parte dal primo giorno di guerra e saremo con voi fino all'ultimo»; «La guerra deve finire con la vittoria dell’Ucraina»; «Ho fortemente voluto essere qui per portare pieno sostegno all'Ucraina, l'Italia non intende tentennare e non lo farà. Daremo ogni possibile assistenza purché si creino le condizioni di un negoziato» ma fino ad allora «offriremo ogni genere di supporto militare, finanziario, civile». Così Giorgia Meloni, la cui sostanza, fuor di retorica - guardate le immagini - sono anche le lacrime a Bucha.
LA FRASE
Zelensky ringrazia, «tutto ciò è molto importante. Ci permette di salvare molte vite». Poi l’attacco a Berlusconi, ed eccoci all’elemento significativo ma periferico rispetto alla sostanza. Elemento a cui oggettivamente, il premier ucraino avrebbe faticato a sottrarsi: «Non credo che la casa di Berlusconi sia mai stata bombardata, mai siamo arrivati coi carri armati nel giardino di casa sua, nessuno ha ammazzato i suoi parenti».
Ora veniamo alla narrazione dei quotidiani di ieri. Partiamo dal curioso caso di Repubblica, che dedica 11 pagine (prima compresa) alla copertura delle cronache russo-ucraine. «Meloni», nell’intero sfoglio, compare in chiusura del catenaccio del titolo di apertura del quotidiano (dedicato allo scontro a distanza tra Putin e Biden) e per la seconda volta nel titolo di pagina 9, che dà conto del nervosismo del premier nel confronti di un Cav che «vuole indebolirmi». Impresa che, fatta la doverosa tara, ricorda quella del Corriere di Piero Ottone, quando nel lontano 1977 nascose «Montanelli» dai titoli che raccontavano la sua gambizzazione ad opera delle Brigate Rosse: Montanelli era una bandiera della destra, vittima di una martellante campagna d’odio, insomma non degno di un titolo (lo riportiamo non per arditi parallelismi, solo per offrire un contesto). E ancora, Repubblica riduce la cronaca dell’incontro allo «Schiaffo di Zelensky: A Berlusconi nessuno ha bombardato casa». Per intendersi, il The Guardian faro del progressismo britannico - titolava sulla «più importante missione strategica di Meloni». Anche i corsivisti di Rep - nel caso Francesco Bei- si concentrano su «L'elefante nella stanza», che sarebbe sempre Berlusconi.
Poi La Stampa, dove il salto di qualità è netto. Il titolo di apertura recita: «Zelensky, schiaffo a Berlusconi», per Massimo Giannini indiscutibilmente il fatto del giorno. A differenza di Repubblica, almeno in foto, Giorgia Meloni appare in prima pagina: «Sempre al vostro fianco», nell'immagine lo scambio di sguardi con Zelensky. Ma il nome «Meloni» appre solo nell’occhiello del titolo portante e- capolavoro- non appare nei due titoli (pagina 2 e 3) dedicati all'incontro, entrambi sull’affaire Volodymyr-Silvio. A pagina 2 ripropongono paro-paro il titolo di prima, a pagina 3 ecco lo «Choc nella maggioranza. Il Cavaliere: Sfollato anch'io». Capitolo corsivisti: l'apocalittico Marcello Sorgi avverte, «Adesso il danno lo paga l'Italia» (e il danno, ça va sans dire, è quello procurato da Silvio).
Breve digressione sul debenedettiano Domani, titolo di prima pagina: «Zelensky gela la visita di Meloni attaccando l'alleato Berlusconi».
CANNONATE
Infine il non plus ultra dell'imbroglio, la prima pagina del Fatto Quotidiano confezionata da un Marco Travaglio in evidente confusione iperglicemica: troppo dolce lo Zelensky che impallina Berlusconi, talmente dolce da far scordare a Travaglio stesso il cannoneggiamento quotidiano contro Volodymyr. Nessun dubbio: tra l’attacco al Cavo all’ucraino si sceglie col pilota automatico la prima possibilità. E così secondo il Fatto, «Zelensky umilia Meloni insultando Berlusconi». Addirittura! Sì: trattasi di «Figuracce», come da occhiello. Meloni appare anche nella vignetta, «Come ti chiami palla di lardo?!?», «Signore! Io sono Giorgia signore...», risponde una «Full Melon Jacket» nella loro visione bullizzata da Zelensky. La desolante rassegna stampa si chiude qui.
Ci permettiamo solo un'ultima, boriosa, digressione: cercate su Google le prime pagine del 17 giugno 2022, giorno successivo alla visita di Mario Draghi a Kiev. E trovate le differenze. S’intendono le differenze tra i titoli, perché la sostanza di ciò che è accaduto lunedì a Kiev è univoca e riassunta alla perfezione dall'insospettabile Le Figaro: «Meloni nel solco di Draghi». Se ce lo devono ricordare i francesi, siam messi male.