Matteo Bassetti
«In questo modo ci sentiamo tutti colpevoli. Non dico che eravamo eroi, però adesso passare addirittura per carnefici è esagerato». Il direttore della clinica di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, è uno abituato a dire le cose come stanno. Gli è costata, e mica poco, nei tre anni della pandemia, la sua schiettezza. «Posso iniziare, questa volta, facendogliela io, una domanda?».
Dottor Bassetti, volevamo parlare dell’inchiesta della procura di Bergamo sul Covid. Lei ha meglio di me il polso della situazione, ma se insiste...
«Perché a Bergamo e non a Varese, a Genova dove lavoro io, a Bologna o a Padova?».
Be’, immagino perché all’inizio di quel maledetto 2020 gli occhi del mondo erano puntati sulla Lombardia e...
«D’accordo. Ma alla fine tutte le città del Nord, o buona parte di loro, sono state colpite nella prima o seconda settimana di marzo. Perché non gli altri? Ci sono morti di Serie A e di Serie B?».
Ovviamente no. Ma qui il nodo è la zona rossa della Bergamasca. Andava fatta?
«È chiaro che, col senno di poi, possiamo dire sì, era auspicabile. Ma in quel momento non sapevamo se fosse la soluzione. Il fatto che avessero chiuso Codogno non era letteratura scientifica. Occorre tenere in considerazione tutto il quadro».
Eppure la magistratura di Bergamo ha formulato dei numeri. Con la consulenza del professor Crisanti sostiene che la mancata zona rossa ci sia costata 4.148 morti. Non uno di più non uno di meno. Come sono arrivati a quella cifra?
«Con un modello matematico. Però i modelli matematici alle volte ci prendono e alle volte no».
Che vuol dire?
«Le faccio un esempio: nel 2021 avevamo un modello matematico che diceva che, a maggio, avremmo avuto un milione di ricoverati in terapia intensiva e che, di conseguenza, non avremmo più avuto posti disponibili. Non è successo, per fortuna».
Ma allora quel numero come viene fuori?
«Immagino che il ragionamento sia stato fatto sulla base dell’Rt (l’indice di contagio, ndr) che in quelle settimane era di 2: supponendo quello si è arrivati a dire che, se avessimo fatto una zona rossa, il virus sarebbe circolato di meno e quindi avrebbe contagiato di meno e ci sarebbero stati meno morti. Però lo ripeto: si tratta di una previsione che avrebbe potuto non avverarsi o avverarsi diversamente. E posso aggiungere un’altra cosa? Anzi, due?».
Prego.
«Tanto per cominciare la procura di Bergamo dovrebbe ascoltare anche pensieri diversi, non solo quello di Crisanti. E poi, così, lo sa cosa succederà?».
Cosa?
«Che chi ha ricoperto quei ruoli, e gli esperti che sono stati chiamati lo hanno fatto gratuitamente, in futuro dirà: “Grazie, no”. Se la prospettiva, qualunque cosa succeda, è di finire sul banco degli imputati come un delinquente...».
Ha ragione: però è lecito anche criticarla, la politica. Ha presente quelli della “dittatura sanitaria”? Questa è la prova provata che non c’era nessuna dittatura...
«Ci sono altri mezzi. La commissione d’inchiesta parlamentare, per esempio, su un piano diverso, politico. Vogliamo vedere se ci sono stati errori? L’inchiesta parlamentare serve a capire dove si è sbagliato per non sbagliare di nuovo. Non a mettere alla gogna qualcuno o a farci passare tutti per incapaci. Io non ci sto. Abbiamo dimostrato di essere un grande Paese sia dal punto di vista della reazione dei sanitari che da quello della produzione scientifica. E anche, tutto sommato, da quello organizzativo. Guardi, io non sono mai stato tenero col ministro Speranza e con certa classe dirigente di allora. Però questa è solo un’operazione mediatica che non porterà a nulla».