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Giorgia Meloni? Governi (e non cada nella trappola delle polemiche)

di Fausto Carioti giovedì 9 marzo 2023

3' di lettura

A Palazzo Chigi hanno un problema. È un problema piccolo, ma di quelli che tendono a crescere rapidamente. Per questo occorre affrontarlo adesso: affinché non diventi troppo grande e difficile da affrontare. Per capirlo, occorre guardare indietro alle ultime settimane. Durante le quali il governo ha speso gran parte delle proprie energie per occuparsi dello stato di salute di Alfredo Cospito, della congruità delle dichiarazioni di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, dei pensierini sul fascismo scritti dalla preside di un liceo e dell’affondamento di un barcone mandato a schiantarsi dai trafficanti che lo pilotavano. L’unico colpo d’ala è stato l’annuncio che è in cantiere la riforma dell’Irpef: bella notizia, anche se in quella materia comanda il vincolo di bilancio, ossia la mancanza di soldi nelle casse pubbliche, e dunque la cosa migliore in cui si può sperare è un lieve calo della pressione fiscale e una semplificazione delle aliquote.

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Tolto questo, nessuno dei temi della discussione politica è stato scelto dalla maggioranza, che si è limitata a subirli. Su ognuno di essi la sinistra e i suoi giornali hanno sguazzato, costringendo il governo a giocare in difesa. Chi pensa che sia una parentesi, guardi il calendario: cerchiati in rosso ci sono già la manifestazione a Cutro dell’11 marzo, l’anniversario della Liberazione e il primo maggio. Il peggio deve ancora venire. In compenso, in queste stesse settimane, non si è parlato della «elezione diretta del presidente della Repubblica» prevista nel programma di governo, oppure di quella del presidente del consiglio, insomma della riforma istituzionale che secondo Giorgia Meloni sarebbe stata una «priorità» del governo nel 2023. «Entro il 30 gennaio chiudo il giro di consultazioni e poi si tira la riga», disse due mesi fa il ministro competente, Elisabetta Casellati. Ma nessuna riga è stata tirata. Nel limbo pure la riforma della giustizia, con la separazione delle carriere dei magistrati e il resto. E i tempi dell’autonomia differenziata saranno necessariamente lunghi: deve tornare in consiglio dei ministri e iniziare l’iter in parlamento. Al momento, però, non è la priorità, come non lo è il presidenzialismo. Le due cose sono legate: se l’esecutivo spende ogni energia per ballare al ritmo della musica suonata dalla sinistra, non può concentrarsi sul resto. Ma il centrodestra non è stato votato dagli italiani per litigare con una preside, o per discutere del ricatto morale fatto da un terrorista, e nemmeno perché i suoi ministri trascorressero le giornate a decidere come rispondere all’opposizione. È stato votato per fare proprio quelle cose che sono state messe in pausa.

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IL FATTORE SCHLEIN
Una delle spiegazioni sono state le primarie del Pd. Visto che le riforme è meglio farle tutti insieme, era giusto aspettare che il primo partito d’opposizione scegliesse il suo nuovo leader. Nobile proposito. Ora che sappiamo il suo nome, però, sappiamo anche che non possiamo aspettarci nulla da lei. Il senso della segreteria di Elly Schlein è impedire la realizzazione di tutte le riforme annunciate dal centrodestra, come lei stessa ha messo per iscritto nella mozione con cui ha vinto: «Il presidenzialismo è un disegno che dobbiamo contrastare»; «La destra sta riaprendo quello scontro tra politica e magistratura che ha intossicato il dibattito sulla giustizia, impedendo ogni riforma utile»; «Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è inaccettabile». Di buono c’è che fa chiarezza: perdere altro tempo per lei significherebbe aiutarla. Perché il gioco è proprio questo: impantanare l’esecutivo. Restringere l’orizzonte della Meloni e dei suoi ministri alla gestione sempre più affannata dell’incidente quotidiano, in modo da costringerli a rinunciare ad ogni disegno ambizioso. Significherebbe togliere al governo lo scopo per il quale esiste, che a legislatura appena iniziata non può essere certo tirare a campare. 

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giorgia meloni

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