Forse perché è tanto detestato, a me risulta particolarmente agevole nutrire simpatia nei confronti del piccione, quello comune – tanto per intendere – che abita i parchi e le piazze delle città di tutto il globo. C’è chi lo trova repellente, chi lo ritiene portatore di temibili malattie, chi lo paragona al topo di fogna, chi gradirebbe sterminarne la specie. Eppure il pennuto in questione è del tutto innocuo e non farebbe mai del male nemmeno ad una mosca, figuriamoci poi all’essere umano, al quale sembra immeritatamente affezionato, tanto da viverci a stretto contatto. Del resto, non sono stati né gli ovini né i suini le prime bestie allevate dall’uomo, bensì proprio codesti uccelli, che nel corso dei millenni sono stati nostri stretti collaboratori in faccende di amore e anche di odio, ossia di guerra, basti pensare ai cosiddetti “piccioni viaggiatori”, formidabili postini ed efficientissimi corrieri.
Li abbiamo adoperati, sfruttati, fatti riprodurre, mangiati, e, ora che non ci servono più, che ci appaiono inutili e fastidiosi, li maltrattiamo. A Bergamo stanno per essere sfrattati dalla Rocca di Romano, in quanto “portano sporcizia” rendendo il camminamento sulle mura indecente. Tale operazione di sgombero ci costa per di più la bellezza di 50mila euro. Insomma, non liberiamo gli edifici dagli occupanti abusivi, ma spendiamo decine di migliaia di euro per allontanare famiglie di volatili che dimorano in perfetto accordo con l’habitat circostante. A Vicenza, invece, già da qualche mese vengono impiegati persino i droni per scacciare i piccioni dai tetti e dalle vie, droni che riproducono il suono emesso dai falchi e che spruzzano una sostanza sgradita a codesti uccelli. Insomma, in ogni città vengono incrementate misure per rendere impossibile la vita a queste creature tanto odiate.
Adoro i piccioni in quanto sono così eleganti, addirittura nobili, da non prendersela. Fateci caso. Quando qualcuno li respinge con un calcio, il piccione non attacca, si scosta di qualche passo e impettito continua la sua passeggiata con aria indifferente. Sono solito incontrarli presso un bar sito nel cuore del quartiere Brera, a Milano, dove al gruppo, composto di esemplari che ormai mi riconoscono a distanza, si sono di recente unite due paperelle, forse attratte dal clima milanese. Mi pare che il piccione negli anni abbia appreso a tollerare l’uomo, ma l’uomo non ha appreso a tollerare il piccione, con il quale pure condivide la metropoli. Vorrei fare notare che questo pennuto ci mette davanti tutti i nostri vizi, primo tra tutti il pregiudizio. Lo reputiamo stupido, eppure studi scientifici hanno certificato che il piccione, pur avendo un cervello grande, o forse dovrei dire piccolo, quanto una nocciolina, è particolarmente sveglio e astuto. Questo, oltre a provare che le dimensioni non sempre contano, è la dimostrazione che siamo tanto ma tanto superficiali e presuntuosi.
Tale bestiola, inoltre, ha un senso dell’orientamento molto più sviluppato rispetto a quello di cui noi disponiamo. Non utilizza il navigatore per spostarsi da un luogo all’altro né per rincasare al nido, mentre conosco persone che sono perfettamente in grado di perdersi persino seguendo le indicazioni del dispositivo Gps. Il piccione non ha grandi pretese. Si accontenta di poco, qualche briciola gli è sufficiente, lo sfama, mentre qualche goccia d’acqua lo disseta. Affermiamo che contribuisca a sporcare le strade, invece le ripulisce da ciò che noi incautamente facciamo cadere a terra. E lo fa a titolo gratuito. Dovremmo esprimergli riconoscenza, tuttavia lo incriminiamo, lo perseguitiamo, lo respingiamo. E qui emerge un altro nostro terribile difetto: l’ingratitudine. Ci reputiamo dominatori e proprietari assoluti delle nostre cittadine senza renderci conto che non sono solamente nostre. Ci lamentiamo perché il piccione in città crea sporcizia, poi ci lagniamo perché in campagna rovina le coltivazioni. Insomma, dove dovrebbero trasferirsi questi martiri? Forse sulla Luna?