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Gruppo Wagner, così i mercenari di Putin incendiano la Tunisia

di Renato Farina sabato 25 marzo 2023

5' di lettura

I numeri parlano. Tra un momento facciamo i nomi. Sono più di 20mila dall’inizio del 2023 i migranti sbarcati in Italia, di essi dodicimila sono arrivati dalla Tunisia. Nello stesso periodo del 2022, profughi e/o clandestini approdati sulle nostre coste erano stati seimila, di cui quattromila partiti dalla Tunisia, e non più famiglie borghesi che arrivavano con il barboncino bene educato, ma sub-sahariani costretti dall'odio razziale dei locali a salire su qualsiasi materasso e pure a caro prezzo. Chi ce li manda? La fame, la guerra, la voglia di star meglio: questo vale sempre. La moltiplicazione per tre di barconi stracarichi di passeggeri diretti illegalmente verso Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna – secondo fonti primarie d'intelligence Nato – è un fatto di guerra. Equivale a un bombardamento dove a essere lanciati come missili sono poveri disgraziati del Terzo Mondo, usati per destabilizzare anzitutto il nostro Paese e in sequenza anche la Francia e la Germania.

Prima però il lavoro sporco è stato quello di sbrindellare la Tunisia, ridotta a uno Stato sull’orlo della bancarotta finanziaria e politica, in balia di miliziani islamici di tendenza egiziana che controllano porti e traffici.

Questo Paese forse si può ancora salvare? Si deve salvare per forza, altrimenti si aprirebbero le cateratte di un fiume infernale che ci investirebbe in pieno.
Per questo le iniziative di Giorgia Meloni e Antonio Tajani per stabilizzare la sponda africana del Mediterraneo e anzitutto la Tunisia, sono al primo punto dell'agenda estera del nostro governo, e spiega l'attivismo spes contra spem: ne va la sicurezza non solo nazionale ma europea. È lì che la Russia sta giocando la sua partita, muovendo alleati conclamati e occulti a due ore di motoscafo dalla Sardegna.

L’ACCORDO - Che beffa! Come la Libia e persino più della Libia, il Paese, famoso per Hammamet e ricchissimo per turismo e risorse naturali, era stato fino all'annus horribilis, il 2011, la stabile e prospera succursale degli interessi italiani. Il presidente Ben Ali, travolto dalle insurrezioni arabe innescate da Obama, Sarkozy e Cameron, era stato insediato al potere nel 1987 con un colpo di Stato incruento dove apparve evidente la manona del Sismi dell'ammiraglio Fulvio Martini, grande amico di Craxi e Cossiga.

Non è una deduzione geopolitica quella che sto esponendo, ma una notizia, proveniente da fonti d'intelligence Nato di primo livello. Nella scorsa estate è stato stretto un accordo strategico segreto tra Vladimir Putin e Khalifa Haftar (l'uomo forte, insieme al figlio Saddamdella Cirenaica-Bengasi), a sua volta legato da rapporto simbiotico con i capi della Brigata Wagner. Lo zar ha assegnato un compito preciso ad Haftar in cambio di appoggio e altri benefici: trasformare Bengasi e Tobruk nella variante Est della rotta fuorilegge per l'Italia. Data da fine luglio e inizi agosto questo flusso inedito.

Da allora Putin e Haftar hanno spedito da noi ottomila predestinati alla sventura o per mare o per sfruttamento criminale. 

La Wagner si occupa invece del reclutamento di libici e – perché no – di subsahariani che accettino l'avventura di partire griffati con il nome del musicista per il Donbass, previo passaggio dall'Iran per un rapido addestramento. La paga: milleduecento dollari al mese, la prospettiva di bottini di guerra, e in caso di decesso, trasferimento della salma nel Paese d'origine. Pochi temiamo siano sopravvissuti per ritirare la prima paga. Sono stati infilati nel carnaio di Bakhmut, dove muoiono mille soldati al giorno ingaggiati dallo zar, russi o non russi basta che vadano avanti. (Inedita è anche la notizia del reclutamento dei talebani nelle brigate d'assalto di Putin: ma oggi non è a tema).

La Wagner ha enormi installazioni pubblicitarie a San Pietroburgo, ma anche a Bangui, in Centrafrica, dove è padrona del campo. Domina il Mali, occupa buona parte del Sudan, ha sezioni ovunque, in Benin e dovunque ci sia da fornire protezione a una multinazionale che cerca oro, diamanti, metalli rari, che corroborano le cassi moscovite spremute dalle sanzioni. Ma adesso Putin ha dato una consegna esclusiva alla Wagner: reclutare mercenari, o meglio morituri. Dicono che Haftar si senta tradito dai servizi segreti italiani, che preferirebbero trattare e riempire di euro ufficiali di Tripoli (vicini alla Turchia). Ci aveva dato un avvertimento al tempo del governo giallo-rosso, quando sequestrò con le navi regalategli dall'Italia i pescatori di Mazara del Vallo. Ottenne l'incredibile risultato di essere onorato della visita-premio del premier Conte e del ministro degli Esteri Di Maio. Gli promisero chissà che cosa, ora tocca a Meloni provare a spostarlo dall'asse d'acciaio e gas con la Russia.

Haftar non è solo, se ne sta ottimamente all'ombra delle piramidi: è rifornito di barchini e barconi dai servizi segreti egiziani, ovvio ne sia al corrente il faraone Al Sisi. Che ne pensano a Bruxelles e a Washington, ma soprattutto a Gerusalemme? Lasciano fare? Sarebbe il caso di sostenere in tutto e per tutto l'audacia diplomatica di Meloni e Tajani.

LE BANDE - Intanto le bande di miliziani di Haftar e della Wagner sono penetrate in Tunisia. Indeboliscono il governo già claudicante di suo deviando i traffici di migranti economici, prima diretti in Tripolitania, e provenienti da Costa d'Avorio, Senegal e Guinea, verso Zarzis, città di 85mila abitanti tra Djerba e il confine libico. Il risultato voluto è di incrementare il razzismo berbero contro i sub-sahariani, sia quelli nuovi e senza permesso sia quelli già integrati ma con la colpa di essere “troppo africani”. Hanno così indotto il presidente Kais Saied a scatenare, pur di avere il sostegno del popolino, un “quasi” pogrom accusando gli immigrati di stravolgere la composizione etnica del Paese, e costringendoli di fatto a partire per evitare il linciaggio. Una brutta situazione. Saied è sotto ricatto. Ha accentrato i poteri con una specie di autogolpe, ma trema. La crisi economica indotta dal Covid e accentuata da una pesantissima crescita del prezzo della farina, prodotta dalla dipendenza dal grano russo/ucraino, sta destabilizzando ogni ora che passa il sistema. L'Arabia Saudita ha interrotto di colpo la linea di credito. Perché? Un piccolo grande fatto induce cattivi pensieri. Nei giorni scorsi, grazie alla mediazione della Cina, Iran e Arabia Saudita hanno riallacciato relazioni diplomatiche. Coincidenze. Usa e Israele interdetti. C'è molto lavoro perla Meloni. 

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