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Italia, il piano per trovare le materie rare: è "caccia al tesoro"

di Antonio Rapisarda venerdì 31 marzo 2023

 Adolfo Urso

3' di lettura

La transizione verde “non è star sopra un albero”. Vuol dire, come sostiene pure l’Unione europea, partecipare: ossia tornare (anche) in miniera a scavare. Lo ha spiegato senza girarci intorno il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: «Il mondo elettrico non comincia dal sole e dal vento», si legge nella lunga intervista al Foglio «ma dalla terra, dai materiali fondamentali per costruire batterie e per immagazzinare l’energia prodotta con l’intera gamma delle fonti rinnovabili (nucleare compreso)». Tutto si tiene, insomma: «Non basta guardare quel che esce da una ciminiera o dallo scappamento di un’auto, occorre considerare l’intero processo produttivo». Tradotto: facile a dirsi «giriamo all’elettrico». Poi però la batteria dell’automobile qualcuno la deve fare. A questo punto le strade sono due: o si decide di essere di fatto sotto l’egida della Cina (come lo si è stati, dal punto di vista energetico, con la Russia) oppure ci si deve dotare di una capacità estrattiva perle cosiddette materie prime critiche. Orizzonte, quest’ultimo, cui l’Italia non vuol tirarsi indietro.

LO CHIEDE L’EUROPA
Proprio questo ci chiede l’Europa con un regolamento in via di approvazione – chiamato “Critical Raw Materials Act” – che ha come obiettivo quello di garantire l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche. Parliamo di materiali strategici per l’economia del presente e del futuro: dal cobalto al litio, dal magnesio alla grafite. Fondamentali, come si legge nel sito ministero, «per numerose attività industriali e particolarmente importanti per la transizione ecologica». Con questi infatti si producono, fra le altre cose, le turbine eoliche, i pannelli fotovoltaici e appunto le batterie. Cosa stabilisce il regolamento? Che in Europa, e quindi in tutti i Paesi Ue, almeno 10% del consumo annuale di materie prime critiche dovrà essere estratto dentro i confini continentali. E poi: che almeno il 40% del consumo annuale dell’Ue di materie critiche dovrà essere lavorato in Europa; che almeno il 15% del consumo annuale dell’Ue dovrà provenire dal riciclo mentre non più del 65% del consumo annuale dell’Unione – per ciascuna materia prima – dovrà provenire da un singolo Paese terzo. Il tutto è legato non all’esigenza attuale ma all’orizzonte del 2030: lì dove, come ha confermato Ursula Von der Leyen, sarà molto più alta la domanda di queste materie.

Il 2030, ragionano gli addetti ai lavori, è praticamente «domani». E in vista di questa scadenza Bruxelles si aspetta che i Paesi membri si predispongano anche dal punto di vista legislativo per permettere l’estrazione e il riciclo.Per Urso non c'è tempo da perdere: non a caso ha aperto un tavolo insieme al ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, il 28 febbraio, e ne ha convocato un secondo «per prendere da subito le decisioni necessarie». Dal punto di vista operativo occorre provvedere a una mappatura dei siti dove andare a insistere sulle miniere:tante carte, infatti, risalgono agli anni ‘70. L’Italia qui parte decisamente bene, dato che possiede 15 delle 34 materie prime critiche e otto di queste «sarebbero estraibili in tre-quattro anni, o anche meno». Nello specifico parliamo del «cobalto in Lazio e Piemonte; del rame in Liguria, Toscana e nella fascia alpina; del litio nell’alto Lazio; il magnesio in Toscana; della grafite in Piemonte e Calabria; del nichel in Sardegna e nelle Alpi; del tungsteno in Sardegna e nell’arco alpino; del titanio metallico in Liguria, dove il più grande giacimento Ue è però in un parco nazionale protetto».

UN FONDO AD HOC
È chiaro che tutto questo comporterà uno sforzo economico enorme. Il ministro lo ha detto più volte sia per la transizione green che per quella digitale: serve un fondo sovrano europeo per gli investimenti strategici. Di certo si creerà un nuovo sistema produttivo: che significa nuova occupazione. Resta da capire in che modo si procederà: pubblico o privato. Da questo punto di vista, ha spiegato Urso, «è troppo presto per discutere» dell’eventuale rinascita del vecchio ente minerario (il Fgman). Se tutti, o quasi, sono d’accordo sulla necessità di staccarci dalla dipendenza della Cina, il vero grattacapo potrebbe arrivare però dal sempreverde partito del «no»: dai “Nimby” agli ambientalisti, ai vari comitati civici. Davanti all’ipotesi di una miniera nel proprio territorio come si comporteranno? È un tema che la politica, in maniera trasversale, dovrà porsi presto. Per Urso non ci sono altre strade che non passino dal principio di realtà: «Bisogna capire che nessuno può ritenersi al riparo e anche il proprio giardino finirà per inaridirsi. La battaglia dell'ambiente si combatte assumendo ciascuno le proprie responsabilità».

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