Ignazio La Russa ieri ha rilasciato un’intervista a Terraverso, il podcast di liberoquotidiano.it. Il presidente del Senato ci ha parlato per quasi un’ora, dicendo cose di grande rilevanza politica. Ha aperto alle adozioni da parte delle coppie gay, ha spinto per la cancellazione della legge Bossi -Fini sugli immigrati clandestini, ha fatto un appello bipartisan perché la politica di oggi la finisca di processare ogni cinque minuti la storia. Poi è inevitabilmente intervenuto sulla polemica più recente innescata dall’opposizione contro il presidente del Consiglio, rimproverato per aver ricordato le vittime delle Fosse Ardeatine come «italiani uccisi in quanto italiani», omettendo di aggiungere antifascisti. La Russa ha affermato che le critiche di questo tipo dimostrano solo «l’impotenza politica della sinistra, che non ha veri argomenti d’opposizione».
Si è parlato anche dell’attentato di via Rasella, che ha dato origine alla rappresaglia nazista, e il presidente del Senato ha dichiarato che «non si è trattato di una delle pagine più nobili della Resistenza», perché i partigiani sapevano che la loro azione si sarebbe tradotta nella condanna a morte dei loro compagni in prigione e di molti altri civili romani. Quanto al bersaglio, «non erano nazisti delle SS ma una banda di mezzi pensionati in uniforme». Naturalmente la sinistra si è scatenata e non ha raccolto l’invito di La Russa a non fare processi personali e politici a chi legge la storia con lenti diverse da quelle rosse.
Io sono stato involontario artefice e vittima colpevole del siparietto. Non sono uno storico e tantomeno un fascista. Rarità tra gli italiani, posso dire che nessuno nella mia famiglia d’origine ha mai avuto a che fare con il fascismo, a meno che non si vogliano considerare fascisti gli alpini mandati in Russia e che Togliatti voleva lasciare nelle mani del criminale Stalin dopo la fine della guerra perché tali li riteneva. Penso però che chi si indigna contro La Russa in queste ore e chiede ai rappresentanti di Fdi quotidiane prese di distanza dal fascismo, che peraltro tutti hanno già fatto, sarebbe più credibile se iniziasse ad avere un approccio laico ai fatti di via Rasella. Innanzi tutto smettendo di dire che quella dei partigiani è stata «un’azione militare» e chiamandola con il suo vero nome, “un attentato”.
Il presidente del Senato ha ragione quando afferma che via Rasella è una pagina buia della Resistenza. Ha procurato un danno minimo all’esercito tedesco, colpendo soldati di retrovia, altoatesini spediti a Roma proprio perché ritenuti piuttosto tiepidi nei confronti di Hitler. Non pochi storici sostengono che lo scopo dell’azione della Resistenza comunista fosse proprio innescare la rappresaglia, perché essa avrebbe colpito molti partigiani azionisti, ritenuti rivali politici, e avrebbe mosso la popolazione contro l’esercito tedesco, che proprio per evitare sommosse tenne nascosta la vendetta.
Per arrivare a quella conciliazione nazionale che la sinistra dice di volere ma che da sempre boicotta, basterebbe che oggi qualcuno da quella parte del Parlamento si alzasse e, come la destra di governo ha condannato il fascismo, avesse il coraggio di ammettere che via Rasella è stata, nella migliore delle ipotesi, un’idiozia, un boomerang, un atto di scarso coraggio. O che ricordasse che gli autori dell’attentato non ebbero la forza di consegnarsi ai nazisti per salvare i loro compagni di lotta e la vita di centinaia di innocenti.
Certo, l’eccidio delle Fosse Ardeatine si consumò poco prima della scadenza dell’ultimatum di 24 ore per farlo, ma nessuno dei bombaroli prese mai in considerazione di presentarsi negli uffici delle SS.
Inutile illudersi, queste verità non verranno mai pronunciate e pertanto non ci sarà mai né chiarezza né pace sociale sugli anni del fascismo e della resistenza. E qui La Russa, a differenza che sullo stato di servizio dei caduti nazisti, l’ha detta giusta: la sinistra continuerà a sventolare la bandiera dell’antifascismo non perché creda nella Costituzione o sia più democratica della destra ma solo in quanto è la sola argomentazione che le è rimasta dopo decenni di fallimento pratico ai quali sta seguendo un inevitabile tramonto culturale.