Di una comunicazione disinvolta Elsa Fornero ha sempre fatto la sua cifra stilistica. E tale disinvoltura la si ravvisava già una dozzina di anni fa. Era ministro del Lavoro nel governo Monti e presentando la riforma delle pensioni scoppiò in lacrime. Immagine indimenticabile e spietatamente iconica. Ecco, meno di un anno dopo - 22 ottobre 2012 - la stessa Fornero si auto-impresse il secondo marchio a fuoco che tutt’oggi la caratterizza: quello dei «choosy». «Non bisogna mai essere troppo choosy», ovvero schizzinosi, disse rivolgendosi ai “giovani”. «Meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro, senza aspettare il posto ideale», filosofeggiò a un convegno di Assolombarda. Si scatenò l'inferno.
Ora, al di là di come la si pensi, suggerì ai “giovani” di non rompere troppo le palle, di tapparsi il naso e di andare a lavorare. Poi l’immediato tentativo di correggere il tiro: «Mi riferivo a un atteggiamento relativo al passato, quando il mercato del lavoro consentiva maggiori possibilità». Sterzata che aggiunse comico al tragico, seguita da una ancor più grottesca lettera al Corriere.
APOCALITTICI
Questa premessa sulla comunicazione disinvolta della Fornero per arrivare all’ultimo episodio. Ieri, su La Stampa, commentava il rapporto Eurostat sulla condizione giovanile nei Paesi europei. I toni erano apocalittici. Titolo: «È il Paese dei giovani svantaggiati». Incipit: «Non c’è molto di cui rallegrarsi a essere, oggi, un giovane italiano; o, almeno, un giovane italiano di famiglia non benestante. A un modesto presente seguirà, infatti, nel le aspettative, un futuro forse anche peggiore». Fornero poi ricorda come il governo Meloni «vuole darsi un margine di flessibilità finanziaria in più, attraverso un aumento del disavanzo dal 4,3 al 4,5% del Pil». Ma, aggiunge, se questa flessibilità sarà «utilizzata per consentire pensionamenti anticipati si tratterebbe di una scelta iniqua». Segue appello a Meloni: non farlo.
Insomma il futuro dei giovani un tempo “schizzinosi” oggi preoccupa la Fornero. «Sono tra quelli con il più alto rischio di povertà, minore tasso di occupazione, minore reddito, maggiore percentuale di soggetti che non studiano né lavorano», riprende riferendosi alla fascia 15-29 anni. «Si distinguono per minore autonomia dalla famiglia d’origine e maggiore emigrazione. E tutto questo nonostante il tanto conclamato “familismo” italiano». Il cambio di paradigma è curioso: quando era al governo il problema era l’essere «choosy», oggi invece è la minore autonomia dalla famiglia e il “familismo”. Oggi non possono farci niente, prima almeno potevano turarsi il naso.
Ma al di là di questa considerazione, è l’evidenza delle cifre a tradire l’eccessiva disinvoltura di Elsa. Prendiamo il 2012, l’anno dei «choosy»: la contrazione del Pil per Istat fu del 2,4%, la disoccupazione media fu del 10,7% (nel 2011 era all’8,4%) e quella giovanile schizzò del 6,2% al 35%. I giovani a rischio povertà, sempre per Istat, erano il 29,9%. Passiamo al 2023: le previsioni sul Pil indicano una crescita, seppur modesta (0,4% per Istat, 0,6% per Bankitalia). La disoccupazione è stabile all’8% e quella giovanile, a febbraio, cala dello 0,4% al 22,4%.
Per Eurostat, i giovani a rischio povertà sono il 25%. Nel 2012 l’Italia provava ad uscire dalla crisi iniziata nel 2008 e dai violenti colpi dello spread del 2011; oggi siamo alle prese con il post-Covid e con una guerra. Insomma, due quadri complessi. Ma, dati alla mano, tra 2012 e 2023 non c’è partita: ai giovani va meglio oggi. Eppure per Elsa prima erano bamboccioni, «choosy». Oggi invece sono bersagli disarmati alla mercé di un governo che li ignora. Il più classico dei «si stava meglio quando si stava peggio», adagio che per sua natura equivale a menzogna.