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Ferrovie, quel tunnel dell'Alta velocità che da 20 anni spacca l'Italia in due

di Claudia Osmetti sabato 6 maggio 2023

4' di lettura

Ci risiamo. L’ennesimo treno che svia fuori dai binari, a Firenze, e l’ennesima giornata di passione per mezza Italia. Bloccata. Ferma sotto il tabellone degli orari, sulle banchine, in biglietteria. E non è che non ci abbiano pensato per tempo, i fiorentini. Erano stati anche previdenti, l’avevano messo in conto subito. Anzi, prima: negli anni Novanta, quando l’Alta velocità (Av) in Italia manco c’era: sarebbe arrivata solo nel 2009 sulla tratta dall’Arno a Bologna, sembrava il futuro. E loro lì, i fiorentini appunto, che in quanto a genio mica son secondi a qualcuno, a progettare. Una soluzione che avrebbe impedito i disguidi. Una stazione sotterranea, un tunnel di sette chilometri che avrebbe attraversato la città, su quei treni che fanno almeno i 200 all’ora, in modo da non impicciare i binari locali, i convogli regionali, il traffico ferrato tradizionale (compresi i “vecchi” Intercity) che sarebbe restato sopra e tanti saluti.

Ma il futuro è diventato passato, son trascorsi trent’anni, e da quelle parti, a Campo Marte, a Santa Maria Novella, non s’è visto niente. Neanche una striscia gialla interrata. C’è solo un foro, in parte scavato, le cesate dei cantieri ancora su, i blocchi di cemento accatastati sulla sinistra, te lo indicano loro, gli abitanti della zona, se chiedi: «Arriva fino al Castello e dovrebbe passare sotto a questo ponte, per risalire in superficie e agganciare l’Alta velocità verso Roma. Che fine ha fatto?».

Ecco, appunto. Che fine ha fatto? Sappiamo che i lavori dovranno ripartire a breve, a brevissimo, praticamente adesso (ossia a inizio maggio), quando le talpe si metteranno in azione, dopo un bando di gara targato Rfi (Rete ferroviaria italiana) lanciato nell’agosto dell’anno scorso e vinto da un’impresa emiliana (la Pizzarotti), in cordata con un’altra ditta, la Saipem. Valore, sull’unghia: 1.079,6 milioni di euro.

IL BANDO - Però nel frattempo s’è tirato un po’ troppo per il lungo, tra proteste, comitati, politici convinti no, disegni da revisionare perché un conto son quelli della stazione Foster (presentata dall’archistar inglese Norman Foster) del 2002, che allora sembrava il non plus ultra dell’innovazione, e un conto sono quelli da attuare adesso, rimodulati nel 2017, con un hub interzonale anche per i bus extraurbani, le auto e le biciclette. Che chi le aveva calcolate, nel 2002, alle biciclette?

LE INCHIESTE - S’è perso vent’anni, questo è. Prima tra mille polemiche per scegliere l’area; poi con la magistratura che ci ha messo lo zampino (bontà sua) grazie a non una, non due, ma tre inchieste giudiziarie (le prime due a Firenze sui terreni degli scavi e l’assegnazione dell’appalto; la terza a Roma sulla fresa che avrebbe dovuto scavare); poi con alcune imprese fallite (come accade spesso in questi casi); poi con le modifiche da fare perché intanto erano passati quasi quindici anni; poi con la richiesta dell’allora ministro dei Trasporti, il grillino Danilo Toninelli, di un piano costi-e-benefici che di fatto ha bloccato (ulteriormente e inutilmente dato che il responso, alla fine, è stato: «Conviene farlo» ‘sto benedetto tunnel) un cantiere già bloccato da inizio secolo e che il Movimento 5 Stelle, a Firenze, non ha mai mandato giù; poi con le rivendicazioni dei collettivi no-Tav, che «scavare sotto Firenze sarebbe un disastro come in Val di Susa, piuttostoè meglio potenziare le linee di superficie», insomma le solite litanìe.

IL RISULTATO - Il risultato è lì da vedere. Ogni volta che c’è un problema ferroviario a Firenze (come ieri, quando un convoglio è uscito dai binari a Santa Maria Novella, fortunatamente senza causare feriti; o come a fine aprile, con un altro treno merci è deragliato a Firenze Castello), si paralizzail traffico su rotaia di tutto Paese. Da Roma a Milano. Ritardi che sfondano le due ore, corse cancellate, pendolari imbufaliti, turisti increduli (e pure adirati perchè van bene gli imprevisti, ma la vacanza ad aspettare in stazione con le valigie appresso anche no), viaggiatori da rimborsare. Se ci fosse, quel sotto-attraversamento dell’Aalta velocità, «garantirebbe percorsi alternativi»: sbotta, a ogni disguido, il presidente dem della Regione Toscana Eugenio Giani.

Eh, già. Epperò il problema è che (ancora) non c’è. E d’accordo che ora la palla l’ha presa in mano il Mit, il ministero delle Infrastrutture, di Matteo Salvini che, invece, è tra quelli che l’opera l’han sempre caldeggiata, ma come siamo arrivati al 2023 quando se ne parla da tre decenni? Quando l’ex ministro della Giustizia (un altro dei Grillo boys, Alfonso Bonafede, fiorentino d’adozione) nel 2016 tuonava: «È inutile e dannoso, perché Nardella (il sindaco Pd di Palazzo Vecchio, ndr) continua nell’opera di prostituzione urbanistica della città?»? Quando a dire lo stesso erano i consiglieri comunali di Sinistra e Sel (c’era ancora Sel, per dire)? Quando i no-Tav e i comitati eccetera eccetera amen? Va bene, è una storia che si trascina da così tanto tempo che, oramai, non puoi individuare un responsabile e e basta festa finita. Qui, le responsabilità, semmai, sono sovrapposte. Un groviglio che trovalo, il capo della matassa. Però, dopo, i disagi riguardano tutti. E dire che il primo protocollo d’intesa tra il Comune di Firenze e l’ente Ferrovie era datato 1993. 

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