C’è qualcosa che non quadra. Perché ci ritroviamo con mezza Italia accampata (in senso proprio) fuori dagli atenei e dalle università, coi ragazzi poco più che maggiorenni che si lamentano degli affitti esorbitanti, del caro-canone e delle doppie condivise causa studio, epperò, secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, proprio loro, cioè i ragazzi poco più che maggiorenni che invece di lavorare studiano, giustamente perché il futuro è una cosa seria e va costruito, sono molto più soddisfatti della loro situazione di quanto non lo fossero negli anni passati.
Non stiamo mica parlando degli operai, degli impiegati o dei liberi professionisti: no, ci stiamo riferendo agli immatricolati a Giurisprudenza o a Lettere, ai liceali in odore di maturità. Insomma, agli studenti a vario titolo coi libri sotto al braccio e le dispense nello zainetto. Nel 2021, in questa categoria, si diceva soddisfatto appena il 49,9%; nel 2022 la percentuale è schizzata su al 54,7% (e, tra parentesi, nessun altra categoria ha incrementato l’indice come han fatto loro, gli studenti). Allora delle due l’una: o hanno esagerato gli scolari che l’Istat ha sentito, a campione, per redigere il report fresco fresco di stampa che è uscito giovedì, oppure stanno esagerando (nelle lamentele) i giovani con la canadese in piazza. E forse forse lo zampino di una protesta collettiva un tantinello strumentale c’è.
Anche perché, siamo onesti: la fotografia dell’Istat, per forze di cose (i dati vanno analizzati e rapportati) è stata scattata l’anno scorso, ma non è che nel frattempo sia cambiato il mondo. È cambiato solo il governo. Anche nel 2022 gli affitti a Milano, a Bologna, a Roma, a Bari e via dicendo erano alti. Magari senza la sferzata dell’inflazione attuale, però nessuno ti regalava un alloggio in centro. Tutti noi fuori-sede che, per quell’agognato pezzo di carta e la corona d’alloro, abbiamo cambiato città, a venti, ventuno o ventidue anni, lo sappiamo bene. Invece no. Invece la “protesta delle tende” si espande a macchia di leopardo, rimbalza sulle tivù e rimbomba in radio, assieme agli striscioni che «il diritto alla casa è il diritto allo studio» e agli appelli per avere più studentati (pubblici), più collegi (pubblici), più residenze universitarie (a prezzi calmierati).
Sembra più un cortocircuito. Chi, semmai, si dice più insoddisfatto di prima sono gli operai, la cui percentuale, in appena dodici mesi, è scesa al 51,4% al 47,1%. Ma non si vede una tenda fuori da una fabbrica manco a cercarla col lanternino. Tra l’altro, spiega l’Istat, «la soddisfazione generale aumenta col titolo di studio: la stima dei molto soddisfatti riguarda il 37,5% di chi ha, al massimo, la licenza media e il 52,1% dei laureati». Tombola. Vai a dirglielo, ai mini-camping fuori dai politecnici o dagli atenei. Vai a chiederglielo, come sia possibile. A livello territoriale, infine, la soddisfazione elevata si concentra al Nord (49,3%), mentre il Mezzogiorno segna il tasso più basso (il 42,4%): vale il 61,8% degli abitanti del Trentino Alto Adige e il 35,7% dei campani.