Vittorio Feltri
Per lustri non si è fatto altro che discettare di meritocrazia, ossia della esigenza di adottare il criterio del merito, ritenuto equo e democratico, per selezionare i funzionari pubblici e non soltanto. Il parametro del merito, oltre a garantire all’individuo la possibilità di elevarsi a livello professionale a prescindere dalla sua condizione sociale originaria, presenta altresì il vantaggio di valorizzare il talento, le competenze, le qualità e l’impegno di ciascuno. Nel perseguire la propria realizzazione, con la consapevolezza che i propri sforzi e sacrifici produrranno un risultato, ovvero un progresso, in una comunità capace di riconoscerli e di apprezzarli, quindi meritocratica, l’individuo contribuisce alla crescita e alla prosperità della società intera. Non per niente la meritocrazia è concetto proprio del liberismo.
“Merito” è divenuto improvvisamente un sostantivo da mettere al bando quando si è insediato il governo Meloni, nell’ottobre del 2022, ed il ministero della Istruzione è stato denominato “della Istruzione e del Merito”, a capo di questo dicastero è stato designato Giuseppe Valditara, cui va riconosciuto il merito (perdonate il gioco di parole) nonché il primato di avere dato luogo ad accese polemiche ancora prima di proferire una sillaba o di adottare una misura qualsiasi.
Questo termine ha assunto da quel preciso momento una connotazione negativa, sebbene anche la “Buona scuola” dell’allora premier Matteo Renzi si basasse sul merito, tanto che era previsto persino il bonus Merito, assegnato dai dirigenti scolastici ai docenti. E nessuno era insorto contro tale scelta di un governo di sinistra, segno che certi provvedimenti suscitano proteste e indignazione poiché firmati da esecutivi di centro -destra, altrimenti verrebbero applauditi.
Mi preme rammentare che il principio del merito, a proposito di pubblica istruzione, compare anche nella Costituzione, che a sinistra dicono «antifascista». Mi riferisco all’articolo 34: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Tale articolo è connesso all’art. 3 che fissa i principi di uguaglianza formale e di uguaglianza sostanziale dei cittadini, specificando che spetta alla Repubblica rimuovere quegli ostacoli di tipo economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione e al benessere del Paese.
Ciascuna persona, prescindendo dalle sue doti, dai suoi talenti, dalle sue capacità, ma anche dal suo reddito, dalla sua estrazione sociale, dalla sua provenienza, può essere meritevole perché il merito non dipende da un buon dna, dall’essere nato in una famiglia facoltosa, dalla bellezza, dalla prestanza fisica, dall’avere una intelligenza sopra la media se non addirittura un quoziente intellettivo elevato e alcun tipo di handicap. Il merito anzi è tanto più grande quanto le condizioni sono avverse eppure l’individuo non ha fatto di quelle condizioni un alibi per desistere, rinunciare, accontentarsi, rassegnarsi, semmai ne ha fatto un motivo in più per impegnarsi, darsi da fare, migliorare, distinguersi, imparare, crescere.
Pertanto no, “merito” non è un termine da abolire, antidemocratico, fascista, razzista, classista, discriminante, bensì tutt’altro. “Merito” non è sinonimo di esclusione, esclusione di chi non vale o di chi non brilla a favore dei migliori e di coloro che godono di maggiori possibilità, cosa che vorrebbero farci credere i progressisti. Del resto, il contrario di “merito” è “demerito”, non “inclusione”. Il criterio del merito crea uguaglianza sociale e non disuguaglianza. Giova inoltre ai meno abbienti, poiché essere benestanti non è mica un merito, eppure troppo spesso accade che una determinata posizione sociale determini vantaggi negli studi e nel lavoro.
UGUAGLIANZA E TRAGUARDI - Definitivo è stato il chiarimento fornito dalla premier Meloni, quantunque non abbia segnato la fine della polemica. La leader di Fratelli d’Italia, già nell’ottobre del 2022, dichiarò: «Il merito nell’istruzione sarebbe nemico dell’uguaglianza? Non sono d’accordo. Su questo cerco di invertire la rotta rispetto a quanto abbiamo visto negli ultimi anni. La scuola italiana si dava l’obiettivo di livellare nel punto di arrivo, ma questa non è uguaglianza. Merito e uguaglianza non sono nemici, sono uno fratello dell’altra.
L’uguaglianza va garantita nel punto di partenza. Nella scuola pubblica tutti devono avere le stesse possibilità indipendentemente dalla famiglia nella quale si nasce. Tutti nella stessa linea di partenza ma non tutti sulla stessa linea di arrivo, quello deve dipendere date. Altrimenti se tutti devono arrivare allo stesso punto e non possono andare oltre il tetto che altri hanno messo sulla loro testa, ciò è sbagliato. La nostra è la sfida. Io penso che questa sia la base per combattere una società nella quale il tuo destino è segnato dalla famiglia di provenienza o dalle amicizie che hai. Ebbene, io non voglio una Nazione in cui il destino delle persone si basa sulle amicizie che uno ha, ma sul valore delle persone».
Vorrei domandare ai progressisti impegnati nella guerra al Merito se sia il caso di abolire anche le medaglie al merito attribuite dal presidente della Repubblica. Sono forse un insulto? Offendono forse chi non le riceve? Creano discriminazione e disuguaglianza? Riconoscere un merito non toglie nulla a nessuno eppure dà tanto non soltanto al beneficiario ma alla collettività intera in quanto prevarrà la coscienza che comportarsi rettamente, o valorosamente, o alacremente non è vano, bensì viene premiato, di conseguenza si affermerà l’idea che alla base della società ci sia una sorta di principio di giustizia. Il riconoscimento del merito dunque rappresenta un incentivo a tirare fuori il meglio di sé. Del resto, come disse lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, «la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile».
Qualcuno sostiene che l’introduzione del criterio del merito a scuola possa indurre gli studenti a diventare tra loro competitivi. Anche in questo caso rilevo che la competizione non è qualcosa di negativo, piuttosto essa costituisce la molla che spinge l’individuo a estrinsecare tutte le sue potenzialità e a innalzarsi. Il dovere di competere, ad esempio, motiva l’atleta alla disciplina, alla concentrazione nell’allenamento e nella gara, a perfezionare la propria performance, quindi a competere innanzitutto con se stesso per essere la versione migliore di sé. Cosa c’è di sbagliato nel volere uscire fuori dalla mediocrità, nel desiderio di distinguersi, di emergere?
PUNGOLO SBIADITO - Ammetto che è stata la mia volontà di riscatto, di rivalsa, di affermazione a motivarmi nel lavoro, fin da ragazzino. Per aiutare economicamente mia madre, rimasta vedova quando io avevo solo sei anni, ultimo di tre figli, cominciai a lavorare già all’età di dodici anni con l’obiettivo di arrivare lontano. Se non avessi avuto dentro di me la consapevolezza che attraverso il merito, quindi l’impegno, avrei potuto realizzare un progresso personale, economico e sociale, non mi sarei mai rimboccato le maniche. Il riconoscimento del merito è uno stimolo positivo, non una ingiustizia. Tale pungolo oggigiorno è sbiadito, i giovani non lo avvertono più, predomina quasi uno stato di rassegnazione che costringe ad accontentarsi o addirittura a non fare un bel niente, in quanto si dubita che il proprio merito venga considerato in una società nella quale vanno avanti i raccomandati o i figli di papà e di mammà e dove l’ascensore sociale è inceppato. Si ripiega così nel reddito di cittadinanza o in misure affini, si tenta di campare alla meno peggio, senza entusiasmo, senza speranza.
Il trionfo del merito giova soprattutto ai poveri, ai meno fortunati, ai meno dotati ma più disposti a faticare. Non per niente il merito è un valore borghese, non di sicuro aristocratico, dal momento che i nobili non hanno mai avuto bisogno di tribolare al fine di fare emergere il loro merito, bastava loro esporre i natali o fare valere il sangue blu, il cognome, la dinastia, la stirpe, il titolo. Durante la rivoluzione francese il merito fu rivendicato contro i privilegi di classe, dunque contro l’ingiustizia sociale. Per farcela nella vita non conta chi sono o chi non sono tuo padre e tua madre. Conta chi sei tu.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.