Per il Cai, Club Alpino Italiano, la strada per uscire dalla polemica sulle Croci posizionate in cima alle vette alpine, si fa irta più che una scalata della parete Nord del Cervino. Prima la gaffe, poi la smentita, poi le dimissioni e infine lo sciopero. Un groviglio da far impallidire perfino la hit estiva di Annalisa, quella del ho visto lei che bacia lui che bacia lei che bacia me... Dunque per provare a capirci qualcosa urge un riepilogo. La polemica scoppia cinque giorni fa e nasce dalle parole prima scritte e poi dette, dal curatore del portale lo Scarpone, Pietro Lacasella e dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari. Scrive il primo: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no... La croce non si coniuga più con un presente caratterizzato da un dialogo interculturale, che va ampliandosi, e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali».
Una volta lette queste parole mezzo governo Meloni si scatena contro l’idea di togliere le croci dalle vette alpine. Da Santanchè a Salvini, passando per il governatore lombardo Attilio Fontana, stigmatizzano quel passaggio ricordando il valore - anche di vite spezzate - di quei simboli. La polemica monta, potrebbe sgonfiarsi quando arriva la precisazione che l’idea del portale del Cai non è quella di togliere le croci esistenti, ma solo di non metterne più di nuove. A questo punto, però, qualcuno fa notare che le guide alpine di Alagna, in Piemonte, quelle croci di ferro le stanno già togliendo dalle pareti rocciose per ammassarle in un museo. In più una valanga di soci Cai manifesta la propria indignazione verso la censura al simbolo cristiano e minaccia di stappare la tessera. Ma siccome siamo in Italia, per uno che protesta ce n’è un altro che contro-protesta e difende Ferrari e attacca il governo «di destra». A ingarbugliare ancora di più la situazione arriva l’uscita del presidente Cai, Antonio Montani, che si scusa col governo e certifica che quella espressa su lo Scarpone e nell’incontro alla Cattolica, non è la posizione ufficiale del Cai, ma quella personale di Ferrari.
Passano poche ore e lo stesso Ferrari, sentendosi sfiduciato, verga sui social la sua lettera di dimissioni. Attacca Montani per essersi «scusato con il ministro Santanchè per una colpa inesistente, prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta» e per non aver difeso i suoi collaboratori «perdendo l’occasione» di dimostrare che «il Cai ha la schiena dritta». Poi le dimissioni. Passano poche ore ed ecco che anche il curatore del sito, Lacasella, annuncia l’addio al portale. E non è finita qui. L’ennesimo colpo di scena arriva dalla redazione de lo Scarpone, che si riunisce e decide lo sciopero ad oltranza «fino a quando le dimissioni saranno ritirate». L’ultima puntata, almeno fino a quando questo giornale è andato in stampa, riguarda il comunicato stampa ufficiale del Comitato Direttivo Centrale del Cai - una sorta di Consiglio del ministri- che spiega intanto di «non aver mai trattato la questione né, men che meno, di aver mai emanato alcun atto in materia». Poi ribadisce «piena fiducia» al presidente Montani e ai due dimissionari Ferrari e Lacasella «auspicando che i malintesi che si sono creati e che hanno portato all’annuncio di dimissioni dei responsabili dell’area cultura e comunicazione, si possano considerare chiariti». Non ci scommetteremmo sopra.