Con quell’elegante allure giudiziario a metà fra Calamandrei e un gentiluomo a passeggio negli Hamptons, l’avvocato Raffaele della Valle è incazzatissmo.
Caro avvocato, perché è irritato della «irrazionalità di un sistema»- come dice il ministro Nordio - in cui il gip di Roma impone l’imputazione coatta al sottosegretario Delmastro mentre il pm voleva archiviare?
«Perché c’è un problema tecnico, con dei riflessi costituzionali introdotti dalla riforma Cartabia. Nella nuova proposta di legge di Nordio l’azione del gip non potrà più imporre l’imputazione coatta che oggi, pur se concessa, a un’attenta esegesi, stona due volte: priva del monopolio dell’azione penale il pubblico ministero e vìola il principio dell’ “in dubio pro reo”».
Cioè: «in presenza di dubbio si agisce sempre in favore dell’imputato», l’antico brocardo alla base del diritto penale. Che anticipa, nel processo la colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ma che c’entra coi documenti secretati di Delmastro?
«C’entra. Un conto è il giudice per le indagini preliminari che invita il pm, alla luce di nuovi elementi sopravvenuti ad approfondire questa o quella tematica. Ci sta. Ma se non ci sono nuovi elementi e il pm chiede l’archiviazione e il gip predispone lo stesso l’imputazione coatta; be’ succede che allora il pm non è più l’esclusivista dell’azione penale, diventa il mandatario del Gip il quale, di fatto resta il mandante.
Ma se il pm aveva chiesto l’archiviazione era perché si trovava di fronte a ragionevole dubbio. Non è un sofisma, segnalo una contraddizione».
E perché secondo lei, i pm dovrebbero intervenire?
«Diamine, perché il pm dovrebbe rivendicare la propria autonomia e indipendenza nel sistema accusatorio che gli assegna la legge, rispetto agli altri giudici. Anzi le aggiungo che che il pm deve rivendicare l’autonomia anche con la polizia giudiziaria».
Dice che i pm sono pigri, e si fanno troppo aiutare?
«Quando il colonello della Finanza porta il fascicolo al magistrato deve lasciarlo sul tavolo e dire: “Comandi, dottore”, e andarsene. Punto. Le successive indagini e interrogatori spettano solo al pm che deve rispondere con coscienza. Basterebbe applicare le leggi».
Il Parlamento è scosso dal caso Santanchè, con strascico di polemica sulla fuga di notizie per l’avviso di garanzia. Il governo - specie il sottosegretario Mantovano parla di «revival delle contrapposizioni».
«Non conosco bene il caso. Ma per me doveva essere discusso in sedi diverse dalle politiche. C’è, in effetti, un problema serio di fuga di notizie. E di art. 27, sulla presunzione d’innocenza: o decidiamo di cambiarlo in “presunzione di colpevolezza” o cambiamo questa cultura da colonna infame».
Intanto il governo risponde stringendo sulla riforma. A partire dalla gestione degli avvisi di garanzia.
«L’avviso di garanzia in realtà è la garanzia di un avviso. Anche perché se ci sono fughe di notizie, be’, quella notizia, di solito, viene usata politicamente come una clava sia a destra, che a sinistra che al centro. Ben venga la segretezza assoluta dell’avviso e se non proprio fino a chiusura indagini, perlomeno finché l’imputazione non viene formulata e regolarmente notificata al diretto interessato. Ne so qualcosa».
Trova temibili similitudini con i suoi mille processi da difensore, dal caso Tortora ai quelli di Mani Pulite?
«Ho assistito, negli anni, a innumerevoli scempi delle procedure. E, a proposto di fuga di notizie: è talmente mostruosa che noi avvocati veniamo a sapere di indagini sui nostri clienti di media dopo quindici giorni, il più delle volte dai giornali. Le pare normale? E anche, per dirle, l’utilizzo delle intercettazioni: basterebbe fare come i farmacisti...»
Come i farmacisti?
«Sa cosa proporrei? Un “armadio delle intercettazioni”. Come c’è l’“armadio dei veleni” dei farmacisti che hanno l’obbligo di controllare l’uscita dei farmaci, sennò vanno in galera, lo stesso dev’essere per l’uso sbagliato dei brogliacci da parte dei magistrati. Il lucchetto ce l’hanno loro, assieme alla responsabilità di aprirlo».
C’è anche un caso La Russa junior. Brandito - ovvio dalle opposizioni.
«Lì bisogna andarci cauti. Non si capisce se c’è qualcosa di penalmente rilevante, dei procedimenti in atto. Per ora leggo tutto sui giornali. E la stampa enfatizza. Ricordo il caso di Filippo Penati a Sesto San Giovanni: intere carriere rovinate, e poi finirono tutti assolti. Qui la giustizia, invece di flettere allo ius est ars boni et aequi (il diritto è l’arte di ciò che è buon ed equo, ndr) viene usata per la battaglia politica. Ho visto orde di giustizialisti diventare garantisti e viceversa a seconda della convenienza».
La riforma della giustizia riguarda anche l’abuso d’ufficio. Quando il commissario alla Giustizia Ue Reynders ha dichiarato preoccupazione per la sua cancellazione e il ministro gli ha fatto notare che il nostro diritto penale prevede 18 fattispecie alternative, lei cosa ha pensato?
«Sono rimasto esterrefatto: Che titoli ha questo signore che dovrebbe perlomeno leggersi il nostro codice penale? Questi che vogliono dare lezione a noi che siamo la culla del diritto. Quando loro giravano in pelli di daino, noi avevamo già i codici...».
Il presidente dell’Anm Santalucia si sente turbato degli «attacchi del governo alla magistrura», e invita, di fatto, il governo a desistere dai suoi propositi di riforma. Le pare un gesto ortodosso?
«Si rende conto? Se sei un magistrato, devi applicare la legge, e se non ti va bene, ti rivolgi alla Corte Costituzionale. Dopo. Non come con i quattro dell’Ave Maria della Procura di Milano che fecero il gesto di gettare le toghe: una rivendicazione sindacale. Ora, qualsiasi altra categoria facesse una cosa del genere verrebbe massacrata. I magistrati però sfruttano il loro potere. Unicuique suum tribuere, alterum non laedere, dare a ciascuno il suo, non danneggiare gli altri, sta scritto sui tribunali..».
Bisognerebbe, ogni tanto, alzare il naso e leggere.