Un tempo il cantante si presentava sul palco in abito nero, così si definisce correttamente lo smoking per le serate particolari. Forma ed eleganza andavano insieme a comporre un quadro perfetto per la voce, calda e generosa, alimentata dalle notti al piano bar, resa aspra dal fumo e dall’alcol. Il termine “crooner”, molto in voga nella musica americana, identifica la predilezione per i toni sentimentali, nostalgici: il cantante che non è mai un autore tiene bassa la voce, quasi sussurra parole confidenziali il più delle volte d’amore; gli ingredienti d’accompagnamento sono il pianoforte, le atmosfere jazz, le luci soffuse, uno sgabello, la sigaretta. Sembra davvero di descrivere un altro mondo, quello di Frank Sinatra, di Fred Buscaglione, di Dean Martin, di Perry Como, di Nat King Cole o di Tony Bennett, che era uno degli ultimi rimasti e che è morto ieri, novantaseienne, a New York.
Proprio Sinatra “The Voice” lo definì il migliore di tutti e detto da lui era ben più che un complimento. Un caso di longevità artistica che non ha quasi precedenti, aggiunta all’intelligenza di incontrare il pop senza alcun pregiudizio né nostalgia. Altri, che venivano dal melodico-tradizionale venato di swing, ben poco consideravano quelle rivoluzioni culturali e di costume che hanno toccato la musica a partire dagli anni ’60, e invece Bennett con particolare acume e senza nessuna intenzione di cedere il passo e di non rinnovarsi, ha cercato le collaborazioni delle generazioni più giovani, scambiandosi le parti spesso e volentieri con ragazzi che quando lui cominciò non erano neppure nati.
NUMERI CLAMOROSI
Il suo ultimo clamoroso successo, nel 2021 quando già gli era stato diagnosticato l’alzheimer, con la superstar Lady Gaga per l’album Love for Sale: c’è da scommettere che la maggior parte dei fan della cantante-attrice non conoscesse Bennett, per una questione meramente anagrafica, eppure quella voce, quel timbro, quel carisma non li avrà certo lasciati indifferenti.
I numeri sono davvero speciali: 70 anni di carriera, 100 album registrati, 20 Grammy Awards. Americanissimo, di origini italiane, all’anagrafe faceva Anthony Benedetto, nato a New York il 3 agosto 1926, arruolato nell’esercito nel 1944 e dopo un’intensa gavetta nei locali off e il consiglio di Bob Hope di cambiarsi il nome in Bennett, l’esordio nel 1950 e la prima hit, Because of You, ed è del 1962 uno dei pezzi più famosi, I Left My Heart in San Francisco.
Nel frattempo, l’America sta cambiando, la creatività insegue nuove forme di ribellione e Bennett queste cose le capisce e le traduce in interpretazioni straordinariamente anticlassiche. Nell’arte e nella vita affronta le sue brave difficoltà: la dipendenza dalla droga, l’overdose di cocaina, il rischio di troncare una carriera brillante, poila ripresa, l’addio ai casinò e ai palchi delle sale da gioco per ritrovare un successo che sa di miracolo senza tempo. Negli anni ’70 collabora, tra gli altri, con Barbra Streisand e con il grande pianista jazz Bill Evans.
RITORNO NEI TALK SHOW
L’America ha questo di bello, che non considera mai la tradizione come qualcosa di superato o in antagonismo al nuovo. Negli anni ’90 Bennett torna protagonista grazie alle ospitate al David Letterman Show e su MTV (piattaforma giovanile per eccellenza), quindi le reinterpretazioni di Sinatra e Fred Astaire, ma soprattutto con i duetti, una moda, uno stile, lanciato proprio dai crooner (oltre a Bennett un autentico specialista fu Burt Bacharach che ci lasciati lo scorso febbraio). Insieme a Tony hanno cantato Red Hot Chili Peppers e Placido Domingo, Elvis Costello e Christina Aguilera, Aretha Franklyn e Paul McCartney, Elton John e Amy Winehouse. A San Francisco, di fronte Fairmont Hotel, c’è una statua alta otto metri che lo raffigura. Tre matrimoni, l’ultimo con una donna di quarant’anni più giovane, quattro figli, il più grande Danny gli ha fatto a lungo da manager e lo ha aiutato nei momenti difficili.