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Monsignor Vincenzo Paglia, l'appello: "Riforma per la vecchiaia di massa"

di Annalisa Chirico mercoledì 26 luglio 2023

 Monsignor Vincenzo Paglia

4' di lettura

«Viviamo una vecchiaia di massa che è una novità storica assoluta ma non può tradursi in appassimento dell’esistenza», dice a Libero monsignor Vicenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, a capo della commissione perla riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana istituita presso il ministero della Salute. Dopo il monito di Papa Francesco che, nella terza Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, è tornato a denunciare la «cultura dello scarto» e l’emarginazione dei più vecchi, monsignor Paglia rilancia: «Serve un cambiamento anzitutto culturale. La transizione demografica ci ha regalato trent’anni in più di vita, donandoci una vecchiaia di massa, ovvero la possibilità, per quasi tutti, di vivere una vita intera e lunga. Questa è una novità storica per tutto l’Occidente e non siamo preparati a viverla. Dobbiamo inventarla! Altrimenti prevarranno stereotipi e pregiudizi per cui la vecchiaia è solo malattia e decadenza, nulla di più falso. Gli over 65 sono 14 milioni che nella stragrande maggioranza chiedono di vivere una vita piena oltre che lunga, di partecipare con passione alla vita civile, di essere liberati da una sorta di riposo forzato a cui la società vorrebbe condannarli».

A marzo il Parlamento ha approvato una legge volta riformare l’intero sistema di assistenza agli anziani.
«È il primo dispositivo che afferma alcuni princìpi importanti e delega il governo a metterli in pratica con provvedimenti attuativi entro gennaio 2024. Mentre Palazzo Chigi lavora alla stesura di questi testi, una autorevole Commissione, che mi onoro di presiedere, raccoglie esperti presso il ministero della Salute per definire contenuti e modalità operative. Vorrei che si arrivasse a centrare l’obiettivo di un cambiamento vero».

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Secondo alcune stime, l’attuazione di questa legge richiederebbe tra i 5 e i 7 miliardi.
«In realtà, ne servono molti meno. Siamo partiti da una constatazione di fondo: siamo ancora un paese dove quasi tutto, in tema di salute, è affidato agli ospedali, mentre la presenza sanitaria sul territorio e a domicilio degli anziani è molto debole. Un esempio: la media di ore dedicate all’assistenza domiciliare integrata è 18-20 ore all’anno, praticamente nulla. Per non dire della presenza sociale, spesso rarefatta. In questo caso il Servizio di assistenza domiciliare si è andato riducendo passando nell’ultimo quinquennio da un 1,8 percento di anziani coinvolti allo 0.9. In compenso, lo certifica il ministero della Salute, 1,3 milioni di ricoveri possono definirsi inappropriati. Moltiplichi questo dato per la durata media di 8 giorni e per il costo unitario di 712 euro al giorno: avrà una idea dei miliardi che potremmo redistribuire sul territorio e presso le abitazioni degli anziani con una spesa ospedaliera più efficiente».

Quanti soldi servono per attuare la riforma?
«Credo che due miliardi in un biennio sarebbero la cifra giusta. La riforma è molto profonda perché va a sanare il divorzio tra sociale e sanitario integrando questi due aspetti con il profilo assistenziale a tutti i livelli».

Il governo Meloni vi sta aiutando?
«Sono molto confidente nel governo Meloni che ha guidato e portato avanti la delega in Parlamento. Il lavoro prosegue con i ministri Schillaci e Calderone, insieme al viceministro del Lavoro Bellucci. Serve dialogo tra chi ha gestito il disegno della riforma e chi deve scrivere i decreti».

La battaglia per gli anziani rischia di distrarre attenzione e risorse dalla emergenza denatalità?
«Al contrario, si tratta di due problemi connessi: declino demografico e invecchiamento vanno affrontati insieme. Non solo: la silver economy, quella che mette al centro gli anziani e il loro potenziale anche economico (i loro consumi valgono oltre 200 miliardi l’anno) deve essere integrata con una politica nuova di servizi nei territori. Potenziarli vuol dire contribuire a fermare lo spopolamento. In molti comuni gli anziani rimangono, soli e senza servizi, a gestire i territori, sono l’ultima linea prima dell’abbandono totale di quei territori dove, peraltro, vivono moltissimi giovani NEET, che non studiano né lavorano, e potrebbero essere coinvolti nella assistenza, con un lavoro dignitoso e assai utile».

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La popolazione invecchia anche perché gli italiani non fanno figli. È questione di possibilità economiche o di scelte personali?
«Il suo dubbio centra il problema. Diciamo la verità: in questi anni quello che potremmo chiamare capitale sociale, la somma di appartenenze, legami, interazioni, visite, amicizie e legami familiari, è andato erodendosi in modo drammatico. Siamo tutti più individui e meno comunità, più soli e più contrapposti, più spaventati del futuro, ripiegati sul passato e aggrappati al presente. Credo si debba ricostruire un senso comune, un riconoscimento delle nostre radici. E qui gli anziani sono decisivi: nonni e nipoti insieme per ricucire una comunità, anziani come patrimonio comune della terra e della identità».

Si è tenuta a Roma la prima Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni, voluta dal premier Meloni per combattere la tratta di esseri umani e promuovere lo sviluppo dei paesi africani e mediterranei. La lotta ai trafficanti di esseri umani si concilia con la tradizionale missione umanitaria della Chiesa cattolica?
«Certo che sì. È ovvio che non si deve dare spazio ai trafficanti. I governi debbono mettere in atto ogni azione che possa bloccarli. Nello stesso tempo è altrettanto ovvio che i poveri migranti che fuggono da guerre e disastri vadano aiutati. È un punto fermo l’affermazione della premier, in questa prima Conferenza, circa l’importanza delle persone che vengono prima degli stati. È il pensiero anche della Chiesa e, mi lasci dire, dell’umanità. Mi pare significativa l’iniziativa della Conferenza che raduna i governi delle due sponde del Mediterraneo: non si può affrontare la sfida delle migrazioni in maniera separata. C’è bisogno di un’azione comune. E in positivo. Mi auguro che le decisioni vengano messe a terra». 

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