Solo l’indagine della Procura della Repubblica di Perugia potrà disvelare l’eventuale coinvolgimento dei magistrati della Capitale dietro l’attività di Pasquale Striano, il finanziere del Nucleo di polizia valutaria delle fiamme gialle in servizio presso la Direzione nazionale antimafia, finito al centro di un procedimento per accesso abusivo a banche dati informatiche. Per il momento, lasciando da parte le fantasiose teorie di coloro che in questi giorni rievocano apocalittici scenari di dossieraggio, vale la pena ricordare come il tema della gestione delle informazioni sulle operazioni sospette (Sos) sia stato già in passato al centro di una ampia discussione. In particolare, riguardo le competenze da attribuire su tale materia alla Procura nazionale antimafia e alle Procure distrettuali. Nata nel 1992 da una intuizione di Giovanni Falcone, la Procura nazionale antimafia venne subito osteggiata dalla magistratura associata che mal sopportava un ‘uomo solo al comando’. Per questo motivo, inizialmente la sua attività venne limitata ad un mero ruolo di coordinamento. Nel corso degli anni tale ufficio ha però ampliato le proprie competenze entrando cosi in conflitto con le Procure distrettuali che ordinariamente sono chiamate a svolgere le indagini.
Emblematica la vicenda del pm di via Giulia Gianfranco Donadio, finito sotto procedimento disciplinare e poi assolto perché accusato di aver travalicato le sue competenze per individuare i mandanti delle stragi di mafia. Donadio andava nelle carceri ad interrogare alcuni pentiti mentre gli stessi erano al vaglio delle Procure di Catania e di Caltanissetta. Donadio agiva per conto di Pietro Grasso, all’epoca dei fatti suo capo alla Direzione nazionale antimafia e in quel momento presidente del Senato. Pur sostenendo di aver sempre condiviso la sua attività con Grasso, la Procura generale della Cassazione, pressata dai procuratori, aprì un’inchiesta. Il Consiglio superiore della magistratura, allora, convocò Grasso il quale avrebbe spiegato che non si era trattato di una inchiesta parallela per chissà quali fini, ma di prerogative della Dna che in qualche modo consentivano queste cose, e pure di utilizzare persone legate ai servizi segreti. Il Csm non ebbe nulla da obiettare e Donadio fu salvato.
Ma non solo. La Commissione parlamentare antimafia, dopo qualche anno, lo prese come consulente per le inchieste proprio sul fenomeno mafioso. Mutatis mutandis tale situazione si è riproposta in occasione della gestione delle Sos che solo nel 2019 e grazie ad una direttiva europea sono state attribuite anche alla competenza della Procura nazionale antimafia. Infatti, dal deposito degli atti nel procedimento perugino che mi ha visto coinvolto tempo fa, era emerso che già nel 2018 vi era una forte preoccupazione da parte dei procuratori dei più importanti uffici inquirenti del Paese, capitanati dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e che mi lanciò l’allarme che doveva essere recapitato al capo della Dna Federico Cafiero de Raho.
TIMORI ACCERTATI
Il timore era una ‘invasione’ della Procura antimafia ed una duplicazione nelle attività di controllo da parte di Cafiero de Raho, nominato al vertice di quell’ufficio dopo essere stato bocciato a ricoprire quello di procuratore di Napoli. Il tema di fondo era sicuramente una sfiducia 'ad personam' ma anche evitare che si potesse indagare in direzione sbagliata.
Questo tema si è riproposto di recente visto che da circa un decennio chi cessa dalla carica di procuratore nazionale antimafia viene assoldato da questo o quel partito politico: Grasso ed il suo successore Franco Roberti sono stati eletti nella fila del Partito democratico, Cafiero de Raho con il Movimento cinque stelle. Il quadro così delineato determina la necessità di ragionare con fermezza sulla distribuzione delle rispettive attribuzioni. Questo è il compito della politica che voglia guardare al sistema giustizia incrementando certamente l'efficienza, ma anche il bilanciamento dei poteri e alla difesa di una "indipendenza interna", ove l'apporto del singolo ufficio e del singolo magistrato sia funzionale ad un reale dialogo costruttivo.
La vita pubblica del Paese non può essere condizionata da fughe di notizie in relazione alle quali in alcuni casi si indaga ed in altri no. Perché ad esempio è passato sotto traccia ciò che recente è avvenuto anche all’interno della Corte Costituzionale?
Un noto giornale aveva pubblicato un articolo in cui si dava per certa la decisione della Consulta a favore dei conflitti di attribuzione sollevati dal Parlamento nei confronti della Sezione disciplinare del Csm e della Procura di Perugia. La Corte costituzione aveva smentito con un comunicato tale indiscrezione, sottolineando che la decisione non era stata presa. Quello che poi è emerso fu che il relatore del conflitto nei confronti della Sezione disciplinare del Csm era stato sostituto. Coincidenza? Il disvelamento di notizie riservate ha ormai come unico obiettivo l’eliminazione del nemico politico di turno, utilizzando la copertura del processo penale. Un argomento annoso su cui una riflessione è quanto mai doverosa.