Confesso che, se non ci fossero i giornali, farei fatica a divertirmi. Ogni mattino vivo momenti di ilarità mentre sfoglio i quotidiani. Ad esempio, ieri, leggendo la Repubblica, mi sono imbattuto in questo titolo sensazionale: “L’impatto del caldo, 1500 morti in più nel Sud a luglio”. In pratica, stando alla tesi di chi scrive, le alte temperature estive avrebbero decimato una cinquantina di persone al giorno soltanto nel Mezzogiorno. Un eccidio terribile. A quella che costituisce una ipotesi fantasiosa e evidentemente forzata dell’autore del pezzo si cerca di attribuire vigore mediante il contributo dell’epidemiologo di turno, come se il caldo fosse una epidemia. Sorvoliamo.
Sottolineo soltanto che siamo passati dai bollettini giornalieri dei morti di Covid a quelli dei morti di caldo, segno che abbiamo sviluppato una malsana passione, forse una vera e propria ossessione, per questo genere di rapporti.
In effetti, a quanto pare, ci sarebbe un incremento dei decessi rispetto “alla media”, ma chi lo stabilisce che si tratta di morti dovute all’afa? Forse il giornalista ha fatto le autopsie? E se i trapassi continuassero a salire anche dopo il periodo preso in considerazione? Peraltro, al Nord le dipartite sono diminuite nello stesso periodo esaminato (-14), ma anche riguardo a questo fenomeno nell’articolo viene fornita una spiegazione: tutto merito dei “sistemi di protezione”, come le campagne di informazione o gli interventi di adattamento previsti dal Piano nazionale per il caldo oltre ai comportamenti individuali. Ovvero elementi che non si possono circoscrivere al Settentrione. Quindi come motivazione non ci pare affatto soddisfacente.
Affermare che a luglio 1500 persone nel Mezzogiorno siano crepate per effetto del caldo è una balla, una fesseria, una bufala, tutto quello che un giornale non dovrebbe spacciare, eppure – chissà perché – è diventato urgente per gli operatori della informazione diffondere la convinzione che il caldo estivo arrostisca le persone in roghi (tuttavia dolosi) e stermini una marea di gente. Ormai ci siamo come affezionati a questa narrazione, l’abbiamo cavalcata e ora non riusciamo più a disfarcene, anzi la esasperiamo. Quindi tutto è volto ad avvalorare la tesi che temperature tali non erano mai state registrate e che l’apocalisse oramai è vicina, annunciata da quella che è stata definita “l’estate più bollente della storia”.
Sul finale, ossia nelle ultime cinque righe, il giornalista si riprende, subisce come un richiamo della coscienza. Insomma, dopo averci riempito di formule, numeri, congetture, supposizioni azzardate, suggestioni forti, ecco che conclude: “Per capire se queste affermazioni sono realistiche, bisognerà comunque aspettare la fine dell’estate, quando saranno a disposizione i dati di tutta la stagione e si potrà fare un confronto più preciso con gli anni passati”. Ecco, appunto, prima di parlare di 1500 morti per il caldo da Roma in giù, non avrebbe potuto aspettare, anziché sparare dichiarazioni potenzialmente irrealistiche, ovvero false? È vero, la canicola è difficile da sopportare, strema, fa sudare, indebolisce, ma non ammazza migliaia di persone in un’area ristretta nel giro di pochi giorni, non peraltro in un Paese sviluppato, dove ti basta entrare in un supermercato per refrigerarti, o in un negozio qualsiasi, se proprio non si dispone di un condizionatore o di un ventilatore o anche soltanto di acqua corrente in casa. Quando il giornalismo fa rima con allarmismo, si chiama “cattiva informazione”.